Mattanza di cronisti, Israele tira dritto: «Ad Al Jazeera sono terroristi»

«La prassi israeliana di etichettare i giornalisti come militanti senza fornire prove credibili solleva seri dubbi sulle sue intenzioni e sul rispetto della libertà di stampa». Lo ha detto ieri Sara Qudah, direttrice regionale del Comitato per la protezione dei giornalisti del Medio Oriente dopo l’uccisione dell’ennesimo cronista di Gaza, Anas Al-Sharif. Il corrispondente di Al Jazeera è stato centrato da una bomba mentre era con con il collega Mohammed Qureiqa, i fotografi Ibrahim Zahir, Momen Aliwa, l’assistente fotografo Mohamed Nofal e il fotoreporter Mohammed Al-Khaldi, morto ore dopo per le ferite riportate. Il gruppo era in una tenda dedicata ai media davanti all’ospedale al-Shifa a Gaza City, uno dei pochi luoghi dove sono garantite la connessione a internet e l’elettricità per ricaricare gli strumenti grazie a un piccolo generatore. «Sapevano di essere in pericolo – racconta il giornalista Hassan Isdodi – lo sappiamo tutti noi, perché quelle tende sono un bersaglio specifico per l’Idf». Visualizza questo post su Instagram Un post condiviso da الجزيرة (@aljazeera) Secondo i giornalisti di Gaza – quelli sopravvissuti all’attacco – Anas e i suoi colleghi non si nascondevano nei tunnel, ma erano all’interno di una fragile tenda di plastica. «Anas e i suoi colleghi erano la voce di tante persone nel nord; erano le voci di una verità nascosta e inespressa, che Israele cercava sistematicamente di seppellire», spiega ancora Isdodi. Gaza, Netanyahu: «Il piano di occupazione è il modo migliore per porre fine alla guerra». L’Onu: «Escalation pericolosa» Inoltre, non era la prima volta che Anas veniva minacciato da Israele. Secondo il governo di Benjamin Netanyahu, infatti, il giovane era affiliato ad Hamas e nelle ultime settimane sarebbe persino diventato il capo di una delle cellule attive nel centro della Striscia. Le accuse sono sempre state smentite, sia dalla redazione di Al Jazeera sia da lui stesso. Qualche mese fa, sui suoi canali social Al – Sharif aveva detto di essere a favore del cessate il fuoco a qualsiasi prezzo, con qualsiasi mezzo. Cosa che, per altro, pensano tutti i gazawi da molte settimane, ormai. L’altra Israele in piazza. L’Idf a Netanyahu: «Tutelare chi dissente» «Non stiamo vivendo, stiamo solo cercando di sopravvivere», aveva scritto su X . «Ciò che possiamo descrivere non è nemmeno una frazione del dolore, dell’oppressione, dello sfollamento, delle minacce, della fame e delle innumerevoli crisi che stiamo vivendo». Centinaia di cronisti uccisi La notizia della morte di Al-Sharif ha fatto subito il giro della Striscia, perché Anas era un volto noto dell’emittente qatariota e anche perché ormai il numero dei giornalisti uccisi a Gaza dal 7 ottobre è superiore a 230. La strage di studenti palestinesi, così Israele distrugge il diritto all’istruzione «Israele non vuole che continuiamo a raccontare cosa stanno facendo qui», spiega amareggiata la giornalista Noor Shirzada. «Mentre scrivono che non è vero che c’è fame, che costruiamo dei set cinematografici per mostrare l’orrore che non esiste – dice ancora Noor - silenziano chi, invece, mostra la realtà delle nostre sopravvivenze accusando di essere di Hamas. Dove sono le prove?». Quali sono i riscontri di queste accuse? È la stessa domanda che in queste ore i media internazionali e le associazioni della stampa, sia a oriente che a occidente, pongono a Israele. «Che Netanyahu e i suoi rendano pubbliche le prove che accusano Anas Al-Sharif», hanno scritto testate come Bbc, Afp, oltre che la European federation of journalism, la Federazione della stampa nazionale italiana e molte altre organizzazioni per la libertà di informazione. Il macigno sulla coscienza dell’Occidente, su Gaza è in gioco la sua reputazione Nelle ultime ore, poi, sono giunti altri appelli alla Corte penale internazionale affinché apra un’indagine sulle uccisioni mirate dei giornalisti a Gaza. «Condanniamo l’uccisione da parte dell’esercito israeliano di sei giornalisti palestinesi colpendo la loro tenda, in grave violazione del diritto internazionale umanitario»: lo ha dichiarato ieri anche l’ufficio per i diritti umani delle Nazioni Unite; sùbito dopo si sono unite anche le voci dei leader internazionali. Il primo ministro britannico Keir Starmer, per esempio, si è detto «profondamente preoccupato» per i «ripetuti» attacchi ai giornalisti compiuti dall’esercito israeliano nella Striscia di Gaza. Hamas e la strategia anti-Olp, ma la colpa è di Netanyahu Lo scorso aprile Israele aveva colpito un’altra tenda dei giornalisti che era allestita davanti all'ospedale Nasser di Khan Younis, nel sud della Striscia. In quel caso, aveva ammazzato due cronisti. Che l’obiettivo sia silenziare i media di Gaza è ormai chiaro a tutti e le accuse sono sempre le stesse: i giornalisti sono complici dei terroristi. «Forse qualcuno era molto vicino ad Hamas prima e subito dopo il 7 ottobre – spiega il cronista Hassan Isdodi – ma non tutti, soprattutto non quelli che, come me, hanno sempre collaborato con media internazionali. Non siamo terroristi. Venite voi qui a vedere cosa succede». Israele non è più la democrazia che crede di essere La provocazione arriva alla fine dell’ennesima giornata difficile a Gaza, con altre cinque persone morte per fame, tra loro anche un bambino. Effettivamente negli ultimi mesi molti media internazionali e governi hanno chiesto a Israele di entrare a Gaza, ma l’unica concessione fatta è stata di permettere l’ingresso, peraltro solo a selezionati giornalisti, esclusivamente embedded con l’esercito. Per motivi di sicurezza, certo, ma soprattutto perché, in questo modo, si mostra solo quello che si vuole far raccontare; come avviene, d’altronde, in tutti i contesti di guerra nel mondo. Chiunque altro, per ora, non può mettere piede a Gaza o in quel che ne resta.