Dalle 10:30 di domenica a Gaza hanno smesso di cadere le bombe e le strade della Striscia si sono riempite di gente come non accadeva da almeno due anni. Quando era ormai chiaro che fossero in corso le procedure per l’esfiltrazione dei primi tre ostaggi israeliani, alcuni militanti di Hamas sono comparsi nelle vie di Deir al Balah a bordo di pickup suonando i clacson e agitando in aria i loro mitra, per festeggiare l’avvio della tregua.

«I cittadini della zona hanno fatto qualche video, ma la reazione nei confronti dei miliziani è stata piuttosto fredda», ha raccontato il giornalista Hassan Isdodi. «La maggioranza ha festeggiato alla propria maniera, sventolando le bandiere, offrendo il tè e la frutta secca ai passanti, cantando e abbracciandosi».

«Aspettavamo questo giorno con impazienza e spero davvero che non ci saranno ostacoli nell'attuazione delle prossime fasi dell'accordo – ha raccontato Tasneem Al Quffra – I miei sentimenti riguardo al cessate il fuoco sono mescolati a gioia e dolore per i martiri, i feriti e le nostre case distrutte, ma ora ho voglia di muovermi».

Il tempo del ritorno

Ora i cittadini di Gaza non hanno alcuna voglia di farsi dare ordini. Alcuni piccoli gruppi di miliziani sono ricomparsi nella zona del centro di Gaza per provare a ristabilire la legge islamica, ma non sono stati minimamente considerati, almeno per ora.

«Soprattutto perché sono dei giovani nuovi adepti – ha aggiunto il giornalista Isdodi – che non hanno il polso e la gente, dopo che ha subito l’orrore e ha superato l’inferno, di certo non si fa spaventare da ragazzetti che urlano». Adesso è il tempo del ritorno.

Nelle strade della Striscia c’è un fermento vitale, perché tutti stanno lasciando gli accampamenti per raggiungere le rispettive originarie zone di residenza. «Non vedo l'ora di ricostruire la mia casa che è stata demolita a Gaza City», ha raccontato Lila Abu Ahmed, 35 anni, sfollata da Gaza City a Deir Al Balah.

«Mi aspetto che molti aiuti entrino nella Striscia, in particolare roulotte o case temporanee in cui vivere, finché la Striscia di Gaza non sarà ricostruita. Potrebbero volerci diversi anni».

«Non vedo l'ora di tornare a nord di Gaza City e di dare un'occhiata alla mia casa. Spero in Dio che sia intatta e non distrutta, ma temo che sarà ridotti in briciole”, ha detto Khalil Abu Warda, 50 anni, sfollato da nord di Gaza City ad Al Mawasi. «Speriamo soprattutto di trovare i nostri figli e i parenti che sono scomparsi sotto le macerie». In queste ore le poche ruspe che ci sono dentro Gaza sono all’opera 24 ore su 24. La protezione civile sta liberando dal cumulo di pietre le strade principali che collegano il nord e il centro della Striscia, così da facilitare il percorso dei rifugiati, ma le richieste arrivano a decine.

Montagne di detriti

«Ci stanno pregando di andare di qua e di là per liberare le proprie case – ha commentato Mohammed Abu Maher, che durante tutta la guerra ha continuato, per quanto possibile, a coordinare il suo piccolo gruppo di soccorritori – ma non abbiamo la possibilità di accontentare tutti. Primo, perché non c’è tempo, secondo perché i mezzi sono insufficienti. Perciò – ha spiegato ancora Mohammed – dobbiamo operare secondo delle priorità e ora la cosa più importante è aprire dei varchi nelle strade».

La montagna di detriti è incalcolabile, ci vorranno macchine edili specializzate per iniziare davvero la fase di pulizia, prima che si cominci anche solo a pensare alla ricostruzione. Anche perché, come ricordava Khalil Abu Warda, ci sono ancora centinaia e centinaia di corpi in putrefazione sotto le macerie.

Intanto, dalle prime ore di domenica mattina il valico di Rafah, per la prima volta da mesi, è stato riaperto per consentire l’ingresso di 50 ambulanze, 300 tir carichi di beni di prima necessità. Dai valichi di Kerem Shalom, al confine tra Egitto e Israele, e Al-Auja, invece, sono entrati altri 200 camion di medicine e attrezzature varie e 50 camion pieni di carburante. Molte persone si sono messe in cammino già prima che la tregua fosse ufficiale, nonostante l’Idf continuasse a bombardare, ma ormai era fatta, ne erano certi quasi tutti, questa volta.

Ma nei prossimi giorni il flusso di rifugiati aumenterà. «Speriamo che inizieranno ad arrivare anche escavatori e macchinari pesanti, perché oltre l’80 per cento della Striscia è raso al suolo», spiega ancora il giornalista Hassan Isdodi. «Sappiamo che ci sono in corso trattative con Qatar, Giordania ed Egitto per la ricostruzione di Gaza, sarà un altro colossale affare economico».

© Riproduzione riservata