Nasce come tempio pagano, viene trasformata in chiesa bizantina e infine diventa moschea. La grande moschea di Omari è uno dei simboli di Gaza, uno dei luoghi culturali e religiosi più noti all’interno della Striscia. Chiunque sia stato a Gaza è andato almeno una volta ad ammirare le sue colonne e le sue arcate. Tra le sue pareti si respira il peso della storia. Sorge nel cuore della città vecchia di Gaza e non ha mai ceduto nonostante sia stata ricostruita più volte nei secoli.

Adiacente alla moschea sorge il souk di Al Qissarya, costruito nel 14esimo secolo durante l’impero dei Mamelucchi. Oggi entrambi i siti sono ricoperti di macerie, hanno subito pesanti danni a causa dei bombardamenti dell’esercito israeliano. Al primo raid aereo avvenuto nel dicembre del 2023, ne è seguito un altro nel luglio del 2024. Sia il souk che la moschea fanno parte del patrimonio culturale di Gaza colpito negli ultimi 17 mesi di guerra. Stando agli ultimi dati Unesco, sono 102 i siti danneggiati dal 7 ottobre 2023. Tra questi ci sono 13 edifici religiosi, 69 di interesse storico e/o artistico, 3 depositi di beni culturali mobili, 9 monumenti, 1 museo e 7 siti archeologici.

Sono numeri al ribasso. «I dati derivano da una rapida valutazione. Verificare in maniera indipendente i danni dei bombardamenti non è facile», dice Shireen Allan, presidente di Icomos, l’International council on monuments and sites. «Nei primi mesi non avevamo informazioni. A Gaza la popolazione non aveva internet, non riusciva a comunicare. Poi man mano abbiamo scoperto la distruzione», aggiunge.

Con la sua organizzazione si occupa di monitorare il patrimonio culturale e storico di Gaza collaborando insieme al ministero del Turismo e dell’antichità palestinese (Mota). Il rischio, ora, è che con l’invasione via terra annuncia dal premier israeliano Benjamin Netanyahu non solo il i siti di rilevanza storica siano ancora più a rischio di essere un bersaglio, ma le prove per documentare i crimini rischiano di essere cancellate.

Al momento sembrano inutili le pressioni internazionali per fermare la nuova offensiva. Ieri anche l’Arabia Saudita ha chiesto allo stato ebraico di fermare l’invasione, mentre in sede del Consiglio di sicurezza Onu proseguono le trattative per la consegna degli aiuti umanitari. A Gerusalemme oggi inizierà una marcia per la pace di due giorni per chiedere la fine al conflitto.

Distruzioni a tappeto

L’ultimo report realizzato dal Mota è del gennaio 2025, mancano gli aggiornamenti degli mesi, da quando Israele ha interrotto la tregua il 18 marzo. Stando al documento, su 316 siti di rilevanza culturale a Gaza, 138 hanno subito danni gravi, 61 danni moderati e 27 danni lievi. Solo 90 sono indenni, poco più del 28 per cento del totale. L’analisi è più aggiornata rispetto a quella dell’Unesco ed è stata eseguita con: immagini satellitari, foto pubblicate sui social network e dai media, rilievi eseguiti da un team locale.

«Queste distruzioni sono attribuite a bombardamenti aerei deliberati, operazioni terrestri con l’impiego di bulldozer e incursioni di carri armati. Gli attacchi diretti e i raid israeliani rappresentano il 71,5 per cento del totale dei danni ai siti del patrimonio», si legge nel report del ministero palestinese.

«In guerra, quando si fanno queste operazioni, i siti culturali e storici sono dei target militari. Si va ad attaccare l’identità della popolazione locale, la possibilità di ripresa futura. Inizialmente non si da importanza a questi luoghi, ma distruggerli è come perdere la bussola», racconta Giovanni Fontana, architetto esperto di patrimonio culturale della regione araba. È stato a Mosul, in Siria e in altri luoghi. «Il patrimonio culturale è una vittima non casuale», aggiunge. E a proteggere i siti ci sono decine di norme internazionali. «C’è un’intenzione chiara di cancellare l’eredità storica. L’obiettivo strategico è quello di cancellare l’identità e la memoria», dice Shireen Allan.

I siti religiosi cristiani

«Gaza ha mantenuto inalterato il suo nome per 5000 anni. Per millenni è stata un crocevia di culture e religioni. Ci sono migliaia i luoghi storici costruiti negli anni: il porto, insediamenti realistici, castelli, luoghi di difesa. Se si scava si incontrano tracce storiche di ogni tipo», spiega Fontana. Nella Striscia ci sono influenze culturali e religiose diverse. Rilevanti sono anche le impronte cristiane che non sono immuni all’attuale distruzione.

Dal 7 ottobre 2023 le chiese sono state trasformate in rifugio, altre sono state danneggiate e quasi metà della popolazione cristiano ortodossa è fuggita. Secondo una bozza di un rapporto che uscirà nelle prossime settimane e a cui sta lavorando Shireen Allan, il quadro è preoccupante non solo per i musulmani. Il 17 ottobre del 2023, un raid israeliano ha colpito l’Ospedale Al-Ahli Arab a pochi metri dalla chiesa episcopale di San Filippo, rimasta danneggiata. Le esplosioni hanno ucciso centinaia di persone, tra pazienti, medici e sfollati.

Ma era solo l’inizio. Due giorni dopo, la chiesa ortodossa di San Porfirio, uno dei luoghi di culto più antichi della città, è stata colpita da un bombardamento. Al suo interno si erano rifugiati circa 500 civili, musulmani e cristiani insieme: 18 persone sono state uccise. Il 31 ottobre è stato distrutto il centro culturale ortodosso di Tel al-Hawa.

Un altro raid aereo ha colpito un complesso parrocchiale mentre al suo interno si trovavano anche dei bambini. Il 26 dicembre un carro armato ha colpito la chiesa battista di Gaza: al suo interno si erano rifugiate 70 persone. Prima del 2007 a Gaza vivevano circa tremila cristiani ma la popolazione è in continua diminuzione. Al 7 ottobre 2023 erano un terzo e nel 2024 si contavano, invece, 650 cristiani. Gli altri sono fuggiti in Cisgiordania o all’estero all’inizio del conflitto.

La possibile ricostruzione

A sostenere il progetto di monitoraggio del ministero palestinese ci sono anche il Center for cultural heritage preservation di Betlemme, il programma Eamena dell’università di Oxford, il British Council. L’obiettivo del report è anche quello di spingere i donatori a stanziare fondi per il restauro. Al momento, secondo una stima approssimativa per ristrutturare i siti danneggiati ci vogliono oltre 250 milioni di dollari. Il Mota stima un piano di ricostruzione diviso in tre fasi.

La prima per mettere in sicurezza i siti, la seconda che dura 2-3 anni per iniziare il loro recupero e infine l’ultima si occuperà della ristrutturazione (ci vorranno dai 4 agli 8 anni). Per la prima fase sono necessari 31.2 milioni di dollari, per la seconda 96.7 milioni e per la ricostruzione dei siti principali almeno 133 milioni di dollari.

«Sappiamo già che alcuni siti non possono essere recuperati completamente», dice Shireen Allan. Parte del patrimonio culturale è stato tratto in salvo anni fa. Una collezione archeologica di circa 529 opere appartenenti all’Anp si trova all’estero e di recente è stata esposta in una mostra a Parigi. «Ho contribuito alla raccolta dei reperti e all’epoca non ero d’accordo nel non far ritornare le opere a Gaza. Con il senno di poi avevano fatto bene», dice Giovanni.

© Riproduzione riservata