Gaza, l’ex consigliere di Rabin: «Questa guerra può durare dieci anni»

Mesi prima del 7 ottobre 2023, Yigal Carmon, ex consigliere per l’anti-terrorismo dei primi ministri israeliani Yitzhak Shamir and Yitzhak Rabin, ora a capo del think tank Middle East Media Research Institute (Memri), aveva previsto un attacco di Hamas come quello che poi effettivamente si verificò. I continui scontri tra israeliani e palestinesi, la quantità di armi in circolazione, la tensione raggiunta erano segnali che vari report del centro da lui diretto avevano messo in evidenza. Ora, mentre l’esercito israeliano sta richiamando decine di migliaia di riservisti per l’offensiva su Gaza City, il governo dello Stato ebraico ribadisce che la guerra non finirà fino a quando Hamas non sarà sconfitta. In due anni di guerra Israele non è ancora riuscito nel suo intento di sradicare i miliziani dalla Striscia e a riportare a casa gli ostaggi, vivi o morti. Il paese è più diviso che mai e le proteste infuriano giornalmente. A parte l’appoggio degli Stati Uniti, il governo di Benjamin Netanyahu appare sempre più isolato sulla scena internazionale. Vari alleati storici di Gerusalemme, hanno annunciato che riconosceranno lo Stato palestinese all’Assemblea generale dell’Onu di questo mese. Carmon riconosce che Hamas è riuscita a compromettere seriamente l’immagine del paese ebraico nel mondo ma ad un prezzo molto alto di vite palestinesi. Alla luce della sua lunga esperienza di consigliere governativo e analista, prevede tempi molto lunghi per la fine della guerra, come pure per l'eventuale riconciliazione dei due popoli. Gaza City, l’Idf abbatte la torre dei rifugiati. I medici: «Rischio epidemie» Malgrado gli appelli internazionali ed interni ad Israele a non occupare Gaza City, il governo di Benjamin Netanyahu non mostra segnali di voler desistere. Pensa che il premier abbia ragione? Il problema non è solo a Gaza City, ma in tutta la Striscia di Gaza, che è ancora controllata da Hamas dai tunnel sottoterra. La guerra però non dovrebbe essere combattuta a Gaza, ma a Doha. Il Qatar è infatti lo sponsor di Hamas e di questa guerra. Negli ultimi mesi gli alleati europei sono diventati sempre più critici nei confronti della condotta della guerra di Israele. Concorda con chi dice che Israele sta diventando uno Stato paria? Hamas è riuscito a distruggere l’immagine di Israele, sacrificando il suo popolo. Yahya Sinwar aveva definito le morti dei civili come «sacrifici necessari», citando passati conflitti legati all'indipendenza in paesi come l'Algeria. C’è distruzione a Gaza. È una tragedia incommensurabile. È però impossibile ignorare il fatto che Hamas usa la popolazione e le aree abitate come scudi umani. L’ex ministra degli Esteri tedesca, Annalena Baerbock, aveva dichiarato: «Non dobbiamo farci ingannare dalle strategie di Hamas», sottolineando «l'uso di donne e bambini a Gaza come scudi umani e il nascondimento di armi sotto supermercati, condomini e persino ospedali». Ciò va contro il diritto internazionale. L’Europa ha però scelto di attribuire tutta la colpa solo a Israele. Leone-Herzog, il grande freddo: «Date un futuro ai palestinesi» Ha più responsabilità Hamas o Israele nel non aver raggiunto un accordo sul cessate il fuoco e il rilascio degli ostaggi? Gli ostaggi sono stati portati a Gaza in un atto di ferocia e, da un punto di vista morale, dovrebbero essere restituiti senza condizioni. Non si può parlare di “accordo” per gli ostaggi, si tratta di una estorsione. Ad ogni modo, il giorno dopo il 7 ottobre, per salvare uomini, donne e bambini, ho detto nei media israeliani che andava fatto uno scambio «tutti per tutti». Sfortunatamente, il governo non ha scelto questa opzione. Quando la guerra finirà chi dovrebbe governare Gaza? Non vedo una fine a questa guerra. Ho sempre detto che sarebbe continuata per almeno dieci anni, alcune persone mi ha detto che sono pessimista. Io dico dico che sono ottimista, o almeno realista. La soluzione dei due Stati è la soluzione al conflitto israelo-palestinese? Dopo una terribile guerra come questa, la prima cosa è riabilitare la situazione fra i due popoli. Questa è la priorità prima ancora di pensare a una situazione tecnica. Senza una riabilitazione nessuna soluzione funzionerà davvero. La situazione però è molto complicata. Il piano edilizio nell’area E1, che di fatto taglierebbe in due la Cisgiordania, potrebbe essere la morte per la soluzione a due Stati. Al contempo, però, la speranza per la soluzione a due Stati si è dissipata, negli anni, dalla richiesta dell’Olp del “diritto del ritorno” in territorio israeliano. La posizione dell’Olp è di ottenere uno Stato palestinese con l’aggiunta del diritto di tornare non nel nascente Stato palestinese, ma in Israele, che significherebbe demograficamente la fine di Israele.