Le autorità di Tbilisi hanno fermato Giacomo Ferrara, intimandogli di pagare una multa di circa 1.500 euro. È un altro caso che conferma la deriva che sta prendendo la Georgia. Il senatore di Azione, Lombardo, ha presentato un’interrogazione al ministro Tajani
Negato l’ingresso, requisito il passaporto, intimato il pagamento di una multa mai notificata prima. È la sorte toccata al giornalista Giacomo Ferrara, fermato il 29 settembre al confine tra Armenia e Georgia, al valico di Sadakhlo. Il motivo? Una presunta sanzione di 5.000 lari – circa 1.565 euro – che le autorità georgiane avrebbero collegato alla sua presenza a Tbilisi durante le manifestazioni di fine marzo scorso, in viale Rustaveli. La stessa strada dove, da oltre trecento giorni, gli attivisti pro Europa protestano contro il partito di governo, Sogno georgiano.
L’episodio al confine
Ferrara racconta di aver chiesto spiegazioni: tre agenti diversi, tre versioni diverse. Prima il riferimento a un’occupazione stradale, poi l’ammissione di non conoscere le ragioni precise della sanzione. Alla fine, soltanto un foglietto scritto a mano, con il numero della multa e un’indicazione generica sul documento di diniego all’ingresso: «Altri casi previsti dalla legislazione georgiana». Nessuna prova fotografica o video, nessuna notifica ricevuta in passato, nessuna contestazione ufficiale sul territorio. Nonostante questo, gli agenti hanno insistito: o si paga, o non si entra.
Il giornalista ha rifiutato. Dopo due ore di attesa, il passaporto gli è stato restituito insieme al documento che gli riconosce dieci giorni per presentare ricorso. Un diritto teorico, dal momento che il sito ufficiale indicato non è accessibile dall’estero, neppure utilizzando una Vpn. «Impossibile procedere autonomamente – spiega Ferrara – ho quindi allertato l’Ambasciata d’Italia a Tbilisi e l’International Federation of Journalists».
Controllo dell’informazione
L’episodio non è isolato. Solo ventiquattr’ore prima, il 28 settembre, a un giornalista svizzero era stato negato l’ingresso all’aeroporto di Tbilisi, per due multe da complessivi 10.000 lari. Anche in quel caso, il rifiuto di pagare ha significato respingimento immediato. Un altro reporter, tedesco, sarebbe invece riuscito a entrare solo dopo aver saldato 5.000 lari al banco della polizia di frontiera. Storie simili che tracciano un filo rosso: il costo imposto alle voci critiche, o semplicemente indipendenti, che raccontano le piazze georgiane.
Ferrara non era diretto a Tbilisi per turismo. Il motivo, come dichiarato agli agenti, era seguire le elezioni amministrative del 4 ottobre per il quotidiano La Ragione. La Commissione Elettorale Centrale era stata avvertita ufficialmente del suo arrivo e la documentazione, mostrata alla frontiera, è stata fotografata dai funzionari. Ma non è bastato. «Ho ripetuto più volte che non sono un attivista né un manifestante. La mia presenza era ed è soltanto professionale. Osservo, documento, racconto. Nulla di più».
Il senatore di Azione Marco Lombardo ha presentato un’interrogazione al ministro degli Esteri Antonio Tajani, dopo aver contattato Ferrara. «Questa vicenda conferma la deriva autoritaria del regime georgiano – ha dichiarato – e rende necessario un impegno politico, non solo diplomatico, a tutela dei giornalisti italiani che seguono da vicino le vicende del paese».
Respingimenti mirati
La pratica dei respingimenti mirati non è nuova in Georgia. Negli ultimi mesi, attivisti, osservatori dei diritti umani e cronisti stranieri hanno subito simil sorte, colpiti da multe per “blocco stradale”, reato introdotto come strumento repressivo durante le proteste. La regola sembra chiara: chi non paga resta fuori. Ma la discrezionalità con cui vengono applicate le sanzioni solleva più di un sospetto sull’uso politico dello strumento.
A questo si aggiunge la tempistica. I respingimenti si moltiplicano a ridosso delle elezioni amministrative, con Tbilisi pronta a confermare il terzo mandato di un sindaco, Kakha Kaladze, passato dalle stelle della Champions League ai comizi anti Ue. In una campagna segnata da tensioni crescenti, controllare l’accesso di chi osserva e racconta può diventare decisivo.
Il caso si colloca dunque in una cornice più ampia: una Georgia che fino a poco tempo fa era a un passo dall’ingresso nell’Unione europea, ma oggi restringe spazi di libertà e riduce la presenza di occhi indipendenti. Chi prova a raccontare le piazze rischia di essere confuso con chi le anima. Giornalisti, attivisti, difensori dei diritti umani: la frontiera non distingue.
Ferrara oggi si trova in Armenia, impossibilitato a svolgere il lavoro per cui era partito. La sua vicenda è emblematica di un paese che si presenta come ponte tra Oriente e Occidente ma che erige barriere contro l’informazione. E il cui governo, nonostante l’entusiasmo e la perseveranza delle piazze, sembra aver abbandonato il sogno europeo.
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