La polizia birmana ha arrestato quasi 500 manifestanti che protestavano contro il golpe militare che ha rovesciato il governo democratico di Aung San Suu Kyi, al potere nel paese dal 2015. Si tratta di una nuova ondata repressiva contro gli attivisti che si oppongono al colpo di stato avvenuto il 1° febbraio con l’obiettivo di restaurare la dittatura militare nel paese. La stessa Suu Kyi, premio Nobel per la Pace nel 1991 per il suo impegno per i diritti democratici nel paese, è stata colpita dalle azioni del regime che l’ha arrestata con le accuse di importazione illegale di walkie talkie e violazione delle disposizioni anti Covid. La politica, accusata dai militari di avere imbrogliato alle elezioni dello scorso novembre, rischia condanne fino a oltre tre anni di carcere. 

Le proteste contro il colpo di stato proseguono da oltre dieci giorni. Secondo Amnesty International, per reprimere i movimenti di piazza la giunta militare è arrivata a sparare sui manifestanti. 

Una guerra anche sul web

La lotta contro il golpe in Myanmar non si combatte solo per le strade. Hacker vicino al movimento di protesta hanno attaccato diversi account e istituzioni legate alla giunta militare. «Lottiamo per la giustizia in Myanmar», ha detto il gruppo di informatici. Tra gli obiettivi dell’attacco hacker ci sono i principali media favorevoli al nuovo regime e la Banca centrale accusata di essersi messa al servizio dei militari. 

Le reazioni internazionali

Il golpe in Myanmar non ha lasciato indifferente la comunità internazionale. La Nuova Zelanda ha posto fine alla relazioni diplomatiche con il paese mentre gli Stati Uniti hanno annunciato sanzioni contro la giunta se non permetterà il ritorno della democrazia. Anche la Cina, dopo avere inizialmente bloccato la condanna Onu contro il colpo di stato, ha fatto sentire la sua voce contro l’esercito dicendo che quanto sta accadendo non è quello che si «augurava».

© Riproduzione riservata