«Don’t, don’t, don’t» ha detto Joe Biden a “60 Minutes”, rispondendo alla domanda dell’intervistatore su cosa volesse dire a Vladimir Putin a proposito dell’arma atomica che quest’ultimo minaccia ora di usare. Non lo fare, enfaticamente ripetuto 3 volte.

I russi hanno reagito facendo riferimento alla propria dottrina strategica, che tuttavia resta ambigua tra deterrenza e risorsa di ultima istanza. Ma la (tragica) novità è che la questione nucleare è stata posta ufficialmente sul tavolo.

Mai prima d’ora se ne era parlato con così grande chiarezza, come di un’eventualità, una possibilità reale. Biden ha continuato affermando che il suo utilizzo «cambierebbe il volto della guerra in un modo che non abbiamo più visto dalla seconda guerra mondiale».

Non è esatto: l’atomica trasformerebbe il conflitto in qualcosa che non abbiamo mai visto. Hiroshima e Nagasaki sono state terribili ma all’epoca non v’era possibilità di replica. Il genere umano non ha mai vissuto una guerra nucleare, tattica o strategica che sia.

Non basta augurarsi che sia locale: cambierebbe tutto e ci porterebbe verso l’ignoto. Unica certezza: l’escalation provocherebbe reciproca distruzione assicurata. Per questo i fautori del proseguimento della guerra in Ucraina sostengono con veemenza che i russi non la useranno mai: si aggrappano a un’illusione per giustificare la loro posizione, in realtà tutta ideologica.

Essere per la guerra ad oltranza non è stare dalla parte degli ucraini, anzi: sarebbero le prime vittime di un acutizzarsi dello scontro fino all’estrema conseguenza atomica. Purtroppo va tenuto conto che ci sono anche terribili fasi intermedie: le armi chimiche – già usate in Siria – e quelle batteriologiche. Nessuno sta nella testa della leadership russa per sapere con certezza cosa stia decidendo di fare, proprio in questo momento in cui il loro esercito arretra.

Le ritirate (soprattutto se sono fughe che rischiano di trasformarsi in rotte) rappresentano momenti molto pericolosi, in cui può accadere il peggio. Questo lo sappiamo. Di conseguenza è assolutamente necessario che – proprio in questo momento militarmente favorevole agli ucraini – si tenti contemporaneamente la via diplomatica per evitare di oltrepassare il punto limite.

L’Occidente deve recuperare lucidità e ridare spazio alla politica. Non si tratta di tradire gli ucraini ma di difenderli da decisioni inconsulte e irreversibili prese a Mosca. Lucidità significa guardare alle condizioni politiche della grande crisi russa attuale: gran parte dei suoi confini passati e presenti, sono sottoposti a pressioni e tensioni gravi. Molte nazionalità sono in subbuglio, talvolta manipolate; molte frontiere non riconosciute; numerose aree di confine già in guerra.

Sappiamo della Georgia e dell’Abkhazia; dell’Armenia e dell’Azerbaijan che continuano a combattersi. Meno noto il conflitto tra Tagikistan e Kirghizistan che queste settimane ha fatto oltre 100 vittime (e 140.000 profughi), con sconfinamenti e battaglie di blindati, ripetendo in peggio i fatti violenti del 2021 e del 2010.

Conosciamo le fragilità kazake ma siamo meno informati sulle tensioni etniche nell’estremo oriente russo. Le minacce alla pace globale sono molteplici: basta leggere “La Frontiera”, il bel libro Erika Fatland, in cui l’autrice narra il suo lungo periplo di quasi un anno, per scoprire un ritratto affascinante di culture, società e Stati uniti dalla condizione geopolitica di essere confinanti con la Russia. Si tratta della frontiera più lunga del mondo, oggi molto fragile e potenzialmente critica in molti punti.

La guerra ucraina rappresenta il luogo di maggior attrito ma non l’unico. Al di là del destino dell’attuale leadership russa, si tratta di un tema strategico che va affrontato politicamente per non doverci confrontare in futuro con una serie di conflitti a ripetizione, soprattutto se si instaura la convinzione che non esista altro strumento valido per affrontare il problema. Altrimenti l’aggressione di Mosca a Kiev diverrebbe un modello imitabile per altri contrasti.

Non è interesse nazionale italiano (né europeo o globale) lasciar innescare una serie infinita di contese violente, senza tentare di riportare il tutto nell’alveo del negoziato multilaterale. L’Occidente democratico deve guardare oltre: verso la ricomposizione del quadro internazionale oggi teso e confuso, come si vede all’Onu. Le regole della convivenza globale sono state violate: è la ragione per riedificarle. Fare pace non è essere deboli o abbandonare alleati: significa essere lungimiranti e saper rendere utile la politica. 

© Riproduzione riservata