I Sami non sono estranei alle divisioni. Gli indigeni dell’Europa artica si muovevano un tempo liberamente per le terre più settentrionali del continente, pescando lungo le coste, cacciando nelle foreste, pascolando le renne nella tundra. Solo negli ultimi secoli la Lapponia (Sapmi nella lingua Sami), il territorio tradizionalmente dei Sami è stato suddiviso per la prima volta tra i confini coloniali di Russia, Finlandia, Svezia e Norvegia; si è popolato di colonizzatori ed è stato venduto a pezzi ad società minerarie e di legname.

Ora l’invasione russa dell’Ucraina ha diviso nuovamente i Sami. Alcuni leader della piccola comunità sami russa si sono apertamente allineati al governo del presidente russo Vladimir Putin, provocando uno scisma con i Sami di Svezia, Finlandia e Norvegia.

In aprile, il Consiglio transnazionale dei Sami, un organo che riunisce i leader Sami di tutte le zone della Lapponia, ha deciso di sospendere le relazioni formali con le due organizzazioni Sami riconosciute internazionalmente — l’associazione Kola Sámi e l’associazione Sami della regione di Murmansk (Oosmo) — dopo che il vicepresidente russo del consiglio, Ivan Matrekhin, è stato fotografato mentre suonava una chitarra con la “Z”, il simbolo usato dai sostenitori della guerra della Russia.

Oltre ai blocchi di internet, le sanzioni, la repressione politica a cui tutti i russi sono soggetti, la sospensione significa che i Sami russi sono quasi del tutto tagliati fuori dal resto del mondo, proprio quando attivisti e difensori sostengono che la solidarietà dei Sami sia necessaria per contrastare l’accelerazione del processo di distruzione del loro territorio tradizionale.

Un delicato equilibrio

La decisione del Consiglio dei Sami è stata preceduta da mesi di delicata diplomazia sulla questione del sostegno dei Sami russi alla guerra in Ucraina. Verso la fine di febbraio i membri russi del consiglio hanno rilasciato una dichiarazione in cui riconoscevano la «situazione estremamente instabile, si potrebbe dire pericolosa» che vivevano in Russia a causa dell’isolamento internazionale del paese. «Ora più che mai il popolo Sami in Russia ha bisogno del sostegno internazionale», si legge nella dichiarazione.

La loro posizione però è diventata progressivamente indifendibile. All’inizio di marzo l’Associazione Kola Sami ha firmato una dichiarazione dell’Associazione russa dei popoli indigeni del nord (Raipon), esprimendo sostegno per «le azioni di pace» russe in Ucraina, un eufemismo con cui spesso internamente viene chiamata l’invasione. Quando la dichiarazione è stata condannata da altri difensori indigeni, tra cui alcuni Sami russi, Raipon li ha accusati di «abbassarsi agli insulti» in cerca di «interessi mercantili».

Il divario crescente produce più tristezza che rabbia. I sostenitori dei Sami da entrambe le parti pensano che decenni di lavoro per costruire connessioni tra i Sami russi e l’occidente siano stati cancellati dal giorno alla notte.

«Ho passato metà della mia vita a cercare di rafforzare i legami tra l’area settentrionale e l’area russa della Lapponia», ha affermato la norvegese Christina Henriksen, presidentessa del Consiglio Sami che negli ultimi trent’anni ha coinvolto i delegati delle due organizzazione Sami russe.

«Tutto quello che abbiamo cercato di costruire è crollato dopo l’invasione», ha aggiunto. «Che scopo aveva tutto questo, se era così facile da fare a pezzi?».

«Segna un passaggio nella storia dei Sámi», ha aggiunto Mikkel Berg-Nordlie, storico del popolo Sámi dell’università Metropolitana di Oslo e lui stesso Sámi. Dopo decenni di sensibilizzazione e collaborazione transfrontaliera sami, la cortina di ferro è calata ancora una volta.

La storia

Anche se la maggior parte degli ottantamila Sami nel mondo vive in Norvegia, Svezia o Finlandia, la Russia è stata la patria di una comunità Sami riconosciuta almeno dal tredicesimo secolo, quando è entrata nei registri fiscali di Novgorod. Oggi sono circa 1.500.

Reperti archeologici suggeriscono che la pensisola di Kola, un’ampia coda di terra in cui la Russia incontra la Scandinavia, sia stata la patria del popolo Sami per migliaia di anni. Ma quando i colonizzatori europei hanno abitato l’area, i Sami orientali della Finlandia e della Russia hanno iniziato a distinguersi culturalmente e linguisticamente dai Sami occidentali in quelle zone che sono diventate Svezia e Norvegia.

La divergenza è accelerata con il trattato del 1920 tra una Finlandia da poco indipendente e l’Unione sovietica, che fissò il primo rigido confine all’interno della Lapponia, così come nel corso delle varie guerre tra Russia, Svezia e Finlandia agli inizi del ventesimo secolo. Tuttavia è stata l’esperienza di vivere sotto l’Unione Sovietica che, secondo gli esperti Sami, ha determinato le differenze dei Sami russi oggi.

L’Unione Sovietica inizialmente ha abbracciato una politica di multinazionalismo che celebrava le culture indigene, se non le loro politiche e economie tradizionali. Ma a cominciare dal leader sovietico Josef Stalin nel 1922, i Sami sono stati progressivamente vittime di deportazioni, terrorismo di stato, collettivizzazione forzata delle loro terre e degli allevamenti di renne. La penisola di Kola era sia importante strategicamente sia ricca di giacimenti minerari, e le famiglie Sami sono state private dei mezzi che avevano avuto a disposizione per sopravvivere e vivere una vita indipendente e seminomade e sono stati trasferiti in insediamenti nell’entroterra dove l’allevamento delle renne e altre attività tradizionali sono state trasformate in imprese statali. «Molti Sami sono stati essenzialmente cacciati dal loro stesso settore», ha detto Berg-Nordlie.

L’Unione Sovietica ha anche forzatamente trasferito i Sami per facilitare lo sviluppo militare e industriale, in particolare per creare una zona di confine con la Finlandia. Il popolo dei Sami Skolt, che abitava la zona di confine, è stato diviso tra i due paesi, molti sono stati trasferiti in Finlandia e isolati dalle reti familiari che rimanevano nell’Unione sovietica. Là gli insediamenti Sami erano spopolati e i loro abitanti concentrati in caseggiati mal equipaggiati nella città di Lovozero, che oggi rimane la città di tanti Sami russi.

Durante questo periodo i Sami sono stati guardati con sospetto dalle autorità sovietiche, come un popolo internazionale con legami con l’Europa occidentale. In quello che è conosciuto come il Grande terrore del 1938, i funzionari della polizia segreta hanno sviluppato una teoria del complotto secondo cui i Sami stavano lavorando alla creazione di una patria indipendente nella penisola di Kola e accusavano i leader Sami di stare organizzando un viaggio a Mosca sulle renne per giustiziare i membri del Politburo con fucili da caccia. La loro fabbricazione è stata usata come pretesto per arrestare e giustiziare dozzine di leader della comunità.

Il versante europeo

Nel frattempo, i Sámi in Finlandia, Norvegia e Svezia hanno collaborato oltre confine al Consiglio dei Sami. Hanno anche ottenuto poteri legislativi e alcune garanzie di diritti dai governi nazionali formando parlamenti sami in ogni paese. In Finlandia questo parlamento è stato persino iscritto nella costituzione e autorizzato a rappresentare i Sami finlandesi a livello internazionale.

Dopo la caduta dell’Unione sovietica negli anni Novanta, i leader sami hanno cominciato a spingere per diritti e organi simili in Russia mentre il paese si integrava nel mondo occidentale. I leader sami da entrambe le parti si sono anche dati da fare per integrare i Sami russi nella più ampia comunità indigena internazionale. I sami russi sono stati accolti per la prima volta nel Consiglio Sami e hanno partecipato a incontri internazionali come il Consiglio Artico.

I gruppi sami russi «adottano la stessa lingua, lo stesso orientamento verso i diritti degli indigeni» di quelli occidentali, ha detto Berg-Nordlie. «E anche per un certo periodo, la Federazione Russa è diventata piuttosto progressista per quanto riguarda i diritti, almeno sulla carta».

Le collaborazioni oltre confine sono state essenziali per affrontare i temi più importanti per i Sami. Le organizzazioni nordiche hanno potuto riversare denaro e risorse in Russia per contribuire a rivitalizzare le tre lingue Sami del paese in pericolo di estinzione. I programmi di monitoraggio e bonifica dell’Artico gestiti dal Consiglio Artico hanno contribuito a documentare gli effetti dell’industrializzazione incessante e dei cambiamenti climatici nelle terre dei Sami, fino a quando il Consiglio non ha sospeso la sua attività la settimana appena successiva l’invasione russa dell’Ucraina.

Oggi tutto questo sembra perduto. La raccolta dei dati ambientali è sospesa e le collaborazioni culturali sono bloccate. La spinta per l’autodeterminazione dei Sámi all’interno della Russia è stata frenata dalla repressione interna e la comunicazione con la parte russa della Lapponia è più complicata ora di quando sia mai stata dalla caduta dell’Unione sovietica.

«Non riusciamo a scrivere email. Non riusciamo a pagare gli stipendi. Non siamo in grado di avere contatti apertamente», ha detto Pauliina Feodoroff, un’attivista finlandese dei Sámi Skolt e membro di Snowchange Cooperative, un gruppo di difesa del territorio che opera in tutta la Lapponia.

«Un dipendente di Snowchange è già stato arrestato (in Russia)», ha detto. «Per la prima volta nella mia vita, ho dovuto iniziare a pensarci attentamente. ... So che posso sempre uscire, ma non danneggio di più le persone che rimangono lì?».

Un solo popolo

I Sami russi sono sempre più preoccupati di rimanere isolati dal resto della Lapponia. «Siamo un popolo solo, separato dai confini di diversi paesi», ha scritto in una e-mail Aleksandr Slupachik, il leader di Oosmo, una delle due organizzazioni sami russe. «Perché lo sviluppo del nostro popolo sia armonioso e completo tutte le comunità Sami devono partecipare a pieno titolo a tutti i processi internazionali».

«La difficoltà è che ora non ci sono eventi ufficiali in cui potersi incontrare per discutere dei nostri problemi ... ora ci sono anche problemi ad andare all’estero», ha scritto.

All’interno della Russia la rinascita del nazionalismo e il crescente isolamento internazionale stanno solo peggiorando una campagna di repressione interna contro attivisti politici che si è inasprita per un decennio. Nel 2012, in risposta alle proteste contro il governo di Putin, le organizzazioni non governative che accettavano finanziamenti esteri dovevano registrarsi come “agenti stranieri” e sono state oggetto di persecuzioni da parte dei servizi di sicurezza. Gli attivisti indigeni sono stati tra i primi bersagli. Proprio mentre la Russia ammassava le truppe al confine ucraino, i servizi di sicurezza russi hanno arrestato Andrei Danilov, un attivista dei Sami Skolt, per cinque giorni nell’agosto 2021 dopo che si era rifiutato di sottoporsi a una perquisizione senza testimoni. Ha detto che l’esperienza gli ha lasciato la sensazione che avesse «due opzioni: lasciare la Russia o morire in Russia». Quando è partito per la Norvegia in esilio l’invasione dell’Ucraina ha avuto inizio.

«Prima della guerra, il clima nei confronti dei popoli indigeni era molto sfavorevole», ha scritto in una e-mail. «Con lo scoppio della guerra, il corso della Russia era destinato a violare le norme internazionali, comprese le norme relative ai popoli indigeni».

Tutto questo è successo mentre i problemi dei Sami russi si facevano più urgenti. I giganti petroliferi e minerari russi stanno devastando le terre sami con l’inquinamento da miniere a cielo aperto e oleodotti, il tutto mentre il monitoraggio ambientale internazionale è fermo. L’adesione della Finlandia alla Nato, in sospeso, probabilmente nel frattempo aumenterà le truppe nella penisola di Kola. «C’è preoccupazione su come sia cambiata la situazione geopolitica», ha affermato Tuomas Aslak Juuso, presidente del Sámediggi finlandese, il suo parlamento nazionale Sámi.

L’impatto delle sanzioni

Anche gli impatti economici delle sanzioni occidentali sulla Russia stanno colpendo particolarmente duramente le comunità indigene remote. «Siamo parte dell’economia russa e quando l’economia va male e i prezzi aumentano, ovviamente ciò ha un impatto [negativo] sulle aree remote», ha affermato Rodion Sulyandziga, direttore del Centro russo per il sostegno dei popoli indigeni del Nord, una ong.

Durante la guerra i Sami russi hanno dovuto fare i conti con alcuni dei loro leader comunitari che hanno offerto pieno sostegno allo stesso stato e alle stesse società che stanno devastando le loro comunità. Feodoroff, attivista sami della Finlandia, ha detto che è facile giudicare questi leader per la loro posizione.

Ma «davvero le persone sono spinte a usare la loro voce pubblica per il putinismo». Berg-Nordlie, lo storico, la pensa allo stesso modo: «In questo momento siamo tornati al punto in cui non ci si può aspettare che le minoranze etniche in Russia esprimano dissenso apertamente».

Per molti Sami questo significa sospendere per ora l’advocacy. Ma chi conosce i Sámi russi non ha dubbi che un giorno si uniranno di nuovo al resto della Lapponia. «I Sami (russi) hanno imparato a gestire questo tipo di regimi», ha detto Juuso. «Sono riusciti a vivere e restare Sami. Quindi penso che le soluzioni vengano dall’interno».

I Sami russi, secondo Feodoroff: «Sono persone che hanno cercato di sopravvivere attraverso regimi ed epoche tali, e catastrofi tali, che il nostro gruppo in occidente non comprende». «E quindi si dovrebbe avere compassione e un impegno minimo per non abbandonarli», ha detto. «Non abbandoneremo quelle persone normali che stanno solo cercando di sopravvivere».


Questo articolo è stato pubblicato dalla rivista Foreign Policy. Traduzione di Monica Fava

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