È tornato il rumore dei bombardamenti nella periferia di Kherson. Da diversi giorni le forze ucraine stanno portando avanti una controffensiva nella città dell’Ucraina meridionale, dal 2 marzo sotto occupazione russa. Dopo l’annuncio da parte del consigliere presidenziale ucraino, Oleksii Arestovych, dell’uccisione del generale russo Jakov Rjezantsev a Chornobaivka, nel nord di Kherson, il New York Times, citando fonti del Pentagono, ha diffuso la notizia di una parziale riconquista della città da parte delle forze ucraine. L’annuncio al momento non trova però conferma da parte dell’amministrazione locale.

Se al momento si fa dunque sempre più incerto il destino di Kherson, quello degli abitanti sembra andare invece dritto verso «la catastrofe umanitaria». L’allarme, lanciato dai volontari e farmacisti della città, trova conferma nella dichiarazione di Oleg Nikolenko, portavoce del ministero degli Esteri ucraino. «I 300mila abitanti di Kherson stanno andando incontro alla catastrofe umanitaria a causa del blocco dei rifornimenti attuato dai soldati russi. Il cibo e i medicinali sono quasi finiti», dice Nikolenko, nato proprio a Kherson.

Senza cibo

Anche Nadezda Durova, a capo dell’associazione dei panifici di Kherson, mette in guardia: «La farina e il lievito basteranno al massimo per un’altra settimana».

«Una settimana, massimo due» è il tempo stimato pure dai volontari che operano in città. Persone comuni che dopo l’invasione si sono organizzate in gruppi per aiutare la comunità, sofferente a causa della guerra. Dal 24 febbraio, giorno dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, a Kherson non arrivano né medicinali né generi alimentari.

Il 19 marzo sono stati bloccati dalle truppe russe 14 camion provenienti da Dnipropetrovsk e diretti in città con aiuti umanitari, in particolare cibo e medicinali. Ieri mattina è stato bloccato un convoglio organizzato dall’Ocse che puntava a portare donne e bambini in salvo, verso Odessa.

«In questo primo mese di guerra siamo andati avanti grazie ai depositi della città che avevano scorte, ma anche questi ormai si sono svuotati», dicono i volontari. «Con fatica stiamo riuscendo a trovare la pasta, non ci sono più cereali e quei pochi negozi che ancora hanno degli alimenti hanno triplicato i prezzi».

Alla mancanza di cibo si somma l’impoverimento della popolazione: molti abitanti di Kherson non hanno entrate da quando è iniziata la guerra. «Prima ci chiedevano aiuto soprattutto mamme sole, con i mariti al fronte, o anziani, ora anche famiglie più giovani. Per esempio ieri ci ha chiamato una coppia con un bimbo di un anno e mezzo, spiegando che il marito, che aveva un bar, ora non lavora, non hanno soldi e avevano fame», dice Olga Komarnitzkaja, una delle volontarie.

«Da qualche giorno ha riaperto il mercato vicino casa, ci sono file lunghissime, ma pochissimi prodotti. Le bancarelle vengono svuotate da quel poco che c’è: le persone portano via tutto, persino le caramelle. Le farmacie del quartiere sono vuote», dice Tatjana, un’abitante di Kherson.

Senza farmaci

Alla grave carenza di generi alimentari si aggiunge l’emergenza farmaci. «Non arrivano medicinali, lavoriamo con quello che avevamo prima della guerra», spiega una farmacista di Kherson che elenca i farmaci più urgenti che non si trovano più sul mercato: farmaci a base di ormoni, medicinali per i cardiopatici, antinfiammatori, antibiotici, per citarne alcuni. «Soffrono soprattutto i malati oncologici, i diabetici, chi ha problemi cardiaci», aggiunge.

Natalja, un’altra farmacista spiega: «Le persone continuano a venire in farmacia, ma non abbiamo niente. Sono rimasti solo cosmetici, prodotti dietetici e vitamine. Non abbiamo antipiretici, per abbassare la febbre, né per gli adulti né per i bambini». Anche Natalja pensa che manchi circa una settimana alla “catastrofe umanitaria”: «Stanno cominciando a mancare persino le siringhe, le bende. Arrivano richieste di medicinali anche dagli ospedali che stanno finendo le scorte. Ogni giorno vado a lavoro e la farmacia è sempre più vuota. Alcune farmacie hanno già chiuso».

Si sta cercando di aprire un canale con Nikolaev, una città vicina, organizzando lì un punto di raccolta farmaci da destinare poi a Kherson. «Per ora abbiamo trovato una persona disponibile alla raccolta farmaci e siamo riusciti a raggiungerla, ma non è semplice», dice Konstantin Ryzhenko, un giornalista di Kherson che nelle ultime settimane si è mobilitato anche come volontario.

Logoramento e repressione

Ma al momento molti volontari hanno paura di tentare quella strada, perché la controffensiva interessa proprio il nord di Kherson: sulla strada verso Nikolaev sono frequenti i bombardamenti. «Noi del nostro gruppo non ce la sentiamo, proprio nei giorni scorsi lì hanno colpito un’auto. È troppo rischiosa la strada da Kherson a Nikolaev», dice Olga.

«I russi vogliono piegarci per farci accettare i loro aiuti e passare come salvatori», dice Konstantin. Molti volontari confermano che sarebbe proprio questa la strategia russa, che a questo punto dell’occupazione sembra seguire due strade: quella del logoramento e quella della repressione.

Il 21 marzo per la prima volta i soldati russi hanno aperto il fuoco sui manifestanti di Kherson, che in modo pacifico scendevano in piazza dall’inizio dell’occupazione. Ci sono stati almeno due feriti. Il giorno dopo, appena i manifestanti hanno cominciato ad arrivare in piazza della Libertà, nel centro della città, i soldati russi hanno lanciato lacrimogeni contro di loro. Il 23 marzo una voce dall’altoparlante metteva in guardia chiunque creasse assembramenti: «Le manifestazioni sono vietate». Fuori città, nelle campagne la situazione è disperata. In molti paesi infatti continuano a mancare la luce e il gas: gli impianti sono stati distrutti dai bombardamenti nei primi giorni dopo l’invasione.

«In questa fase stiamo cercando di concentrare i nostri sforzi soprattutto sulla periferia. Se a Kherson ancora si riesce a trovare qualcosa da mangiare, anche se bisogna stare ore e ore in fila, i paesi attorno non hanno più nulla, sono alla fame», spiegano i volontari.

Olga dice: «Spesso i paesini sono difficili da raggiungere, ci sono i posti di blocco dei russi che non lasciano passare nemmeno noi volontari. Venerdì per esempio per andare ad Antonivka, a nord est di Kherson, abbiamo dovuto prendere stradine di campagna. Probabilmente se ci avessero scoperto ci avrebbero sparato contro, ma c’era una mamma con un bimbo di 14 giorni che aveva bisogno di aiuto. Abbiamo rischiato».

Rimasti a piedi

A Kherson manca anche il carburante. Di conseguenza i prodotti alimentari e i farmaci diventano non solo difficili da trovare, ma anche difficili da distribuire. Gli stessi volontari rimangono spesso bloccati per giornate intere nelle file dei distributori. «A volte come volontari ci fanno passare avanti, ma il più delle volte siamo costretti a fare la fila come tutti gli altri. A volte abbiamo atteso una giornata intera per fare rifornimento alle nostre auto, altre volte, mentre eravamo in fila già da ore, il distributore ha dovuto chiudere perché era finito il carburante. Questo rallenta il nostro lavoro e rende difficili gli spostamenti», spiegano i volontari.

Nadezda Durova, che ha lanciato l’allarme dell’esaurimento della farina, ha incluso anche la mancanza di carburante tra le cause dell’emergenza. «Nei granai della provincia c’è ancora del grano, ma è difficile andarlo a prendere, la maggior parte delle auto dei nostri stabilimenti vanno a gas e le riserve sono esaurite», spiega. Durova aggiunge che di fronte alla mancanza di farina molti panifici della città hanno già chiuso: «Giovedì al mercato centrale di Kherson c’erano più di cento persone in fila per il pane ed era previsto il razionamento: si potevano comprare al massimo due pagnotte a testa».

 

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