«Il compito storico della completa riunificazione della madrepatria deve essere realizzato e sarà sicuramente realizzato». Il messaggio di Xi Jinping diretto a Taiwan nell’ottobre 2021, in occasione dell’anniversario della rivoluzione che rovesciò l’ultima dinastia imperiale cinese, è chiaro.

Nei mesi successivi alla dichiarazione del presidente della Repubblica popolare cinese (Rpc) gli equilibri geopolitici sono profondamente cambiati e l’invasione russa in Ucraina ha acceso i riflettori sulla tensione tra Cina e Taiwan.

Appena 160 chilometri dividono l’isola dalla costa cinese, una distanza che ha segnato in maniera indelebile il paese. La storia di Taiwan è una sequenza di diverse dominazioni coloniali: la compagnia olandese delle Indie orientali, l’impero Qing che con riluttanza incorpora l’isola come provincia minore del regno di mezzo, la prima colonizzazione di un paese asiatico con il Giappone imperiale e poi un ulteriore dominio di stampo coloniale con i nazionalisti del Kuomintang che impongono quarant’anni di legge marziale e una sinizzazione forzata degli abitanti. Il processo di democratizzazione iniziato nella metà degli anni Ottanta trasforma il paese in una società aperta e vibrante, oggi al primo posto nella regione in tutte le classifiche stilate per definire gli elementi democratici degli attori statuali.

Taiwan non è mai stata parte integrante della Repubblica popolare cinese, ma per Pechino l’isola rappresenta l’ultimo tassello per il riscatto dalle umiliazioni subite negli scorsi secoli a opera delle potenze coloniali. L’unificazione viene descritta dal partito comunista cinese come una questione esistenziale per il futuro della Rpc.

L’invasione russa in Ucraina ha mostrato come iniziare una guerra sia relativamente semplice quando il potere è concentrato nelle mani di poche persone. Gli equilibri all’interno del partito comunista cinese sono molto più complessi, e bilanciati, rispetto a quelli della leadership russa ma la percezione dell’opinione pubblica di fronte a una possibile invasione di Taiwan è mutata.

Intimidazioni crescenti

Le intimidazioni militari di Pechino sono cresciute di intensità negli ultimi quattro anni, una strategia che gli analisti definiscono come “zona grigia” ossia una situazione in cui un attore tenta di raggiungere i propri obiettivi con azioni che restano appena al di sotto della soglia dell’aggressione armata. Le circumnavigazioni dell’isola utilizzando gli stretti di Miyako e di Bashi si sono intensificate, l’unica portaerei cinese, la Liaoning, ha attraversato lo stretto di Taiwan in diverse occasioni nel luglio 2017, nel marzo 2018 e nel marzo 2022 mentre le esercitazioni militari nelle acque antistanti l’isola sono sempre più frequenti.

Nel 2020 le incursioni di aerei dell’esercito popolare di liberazione (Epl) che hanno violato la zona d’identificazione della difesa aerea taiwanese, Adiz dall’acronimo della denominazione inglese, sono state 380 mentre nel 2021 ben 746 velivoli sono entrati nella Adiz. Un numero inevitabilmente destinato ad aumentare per il 2022, nei primi quattro mesi dell’anno già 348 aerei dell’Epl hanno violato la zona di difesa aerea taiwanese.

La strategia della zona grigia ha un duplice obiettivo, mantenere alta la tensione nello stretto ed esercitare una continua pressione politica sul governo taiwanese. Soprattutto Pechino mira a stabilire una nuova normalità. Le reazioni di Washington non si sono fatte attendere ma oramai la presenza di navi cinesi nello stretto e la costruzione di isolotti artificiali nel Mar Cinese meridionale sono all’ordine del giorno. La maggior parte degli analisti ritiene che ad oggi la Repubblica popolare cinese non abbia le capacità militari per un’invasione dell’isola di Taiwan, in particolare la flotta cinese non sembra adeguata al raggiungimento dell’obiettivo. Tuttavia, nell’arco di pochi anni Pechino riuscirà a colmare il deficit.

Il ministro degli Esteri di Taiwan Joseph Wu ha dichiarato, in una intervista alla Cnn, che il paese sta guardando con grande attenzione agli sviluppi dell’invasione russa in Ucraina. La guerra asimmetrica in Europa, una sproporzione tra le forze armate ma anche un uso non convenzionale da parte ucraina delle risorse in campo, presenta molte analogie con il possibile scenario di un’invasione cinese a Taiwan. La mobilitazione occidentale contro l’invasione russa, e la sostanziale stabilità del fronte nei principali paesi europei, ha destato l’attenzione di Pechino. Il ricordo delle sanzioni all’indomani della repressione di Piazza Tienanmen è una ferita ancora aperta per il partito comunista cinese.

Lo spettro di eventuali limitazioni dell’esportazione costituisce un elemento di preoccupazione per una Cina ancora fortemente dipendente dai mercati occidentali, nonostante i ripetuti tentativi di sviluppare i consumi interni. Il rischio di una guerra globalizzata spaventa Pechino e la proiezione cinese all’esterno, basata sulle parole d’ordine della coesistenza pacifica e dello sviluppo armonioso, verrebbe gravemente danneggiata da un’azione di forza contro Taiwan.  

La geografia di Taiwan è un naturale elemento deterrente: un’isola bagnata da acque impervie con due soli approdi naturali e un terreno in gran parte montagnoso senza fiumi navigabili. Una eventuale invasione cinese dovrebbe necessariamente prevedere difficili condizioni per lo sbarco e complesse operazioni a terra.

Identità taiwanese

Tuttavia, il processo dell’identità taiwanese negli ultimi trent’anni rappresenta il principale ostacolo per un’unificazione: nel 2021 l’annuale sondaggio della National Chengchi University rivela come il 63,6 per cento degli intervistati si senta taiwanese, il 31,4 per cento si identifichi con una doppia identità – taiwanese e cinese – mentre solo il 2,7 per cento si senta cinese. Solo una piccolissima percentuale, 6,5 per cento, si dichiara favorevole all’unificazione mentre gli altri si dividono tra coloro che vogliono l’indipendenza e chi desidera mantenere lo status quo.

Pechino non può contare su consensi all’interno della società taiwanese, una dinamica che complicherebbe una eventuale annessione forzata. Mantenere il controllo in un territorio occupato e ostile rappresenta un’opzione in netto contrasto con l’immagine che la Cina ha tentato di proiettare all’esterno. La speranza di un’unificazione pacifica è definitivamente tramontata a Pechino, la stragrande maggioranza dei taiwanesi si oppone a ogni avvicinamento eccessivo alla Cina. Gli eventi di Hong Kong, il fallimento del modello “un paese, due sistemi” e le difficoltà economiche dovute al massiccio ingresso di capitali cinesi nell’ex colonia britannica hanno avuto un ruolo decisivo nell’influenzare questa scelta.

Cultura confuciana

La resistenza ucraina, con le immagini di civili che imbracciano il fucile per contrastare un invasore strategicamente superiore mentre difendono i confini e il sistema democratico del proprio paese, ha profondamente ispirato l’opinione pubblica taiwanese. Sino a questo momento le diverse forze politiche che si sono avvicendate al potere a Taiwan hanno sempre evitato riferimenti diretti alla resistenza armata. Gli eventi in Ucraina hanno modificato questa percezione ma i dubbi sulla capacità di mobilitare la popolazione in una resistenza armata sono molti.

La cultura confuciana, ancora predominante nell’isola, posiziona i militari in un grado inferiore della scala sociale e il ricordo della dittatura militare, e dei quasi quarant’anni di legge marziale, sono elementi fondamentali per comprendere questo approccio.

Taipei ha immediatamente sostenuto un aumento della spesa per la difesa e sta esaminando una revisione del sistema di coscrizione, ma sarà necessario ripensare la strategia difensiva. Coordinamento, operazioni congiunte e logistica si sono dimostrate fondamentali nello scenario ucraino ma il mantenimento della popolazione in uno stato di operatività permanente a Taiwan ha un costo politico, significherebbe ammettere il pericolo imminente di un’invasione cinese. Si tratta di una scelta difficile, il fattore Cina incide fortemente nell’orientamento elettorale.

I costi di un conflitto con Taiwan sarebbero ad oggi altissimi per la Cina, l’ipotesi di un coinvolgimento degli Stati Uniti, e dell’Australia e della Gran Bretagna attraverso l’Aukus, ma anche del Giappone è concreto, e una possibile nuclearizzazione dello scontro un’opzione credibile. L’obiettivo di Taiwan è quello di assicurarsi che per la Cina il costo di un conflitto resti proibitivo, il sostegno nell’opinione pubblica europea e occidentale nei confronti della democrazia taiwanese è cresciuto in maniera esponenziale negli ultimi tre anni. Una dinamica che Pechino osserva con preoccupazione e che rende sempre più complessa un’azione militare nello stretto.

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