Le sanzioni sono un primo atto concreto in politica estera per disapprovare, denunciare, contrastare azioni ritenute illecite, illegali e contro i principi del diritto internazionale.

L’Unione Europea sta preparando il sesto pacchetto di sanzioni alla Russia, ma dall’inizio della guerra in Ucraina il default economico russo non si è ancora verificato e, pertanto, emergono dubbi sulla reale efficacia di questo strumento.

Da un lato, il presidente americano, Joe Biden, ha affermato che contro la Russia sono già in vigore le più severe sanzioni punitive della storia mondiale e altre ne seguiranno per indebolire, ancora di più, l’assetto economico russo.

Sin dal 2014, dopo l’annessione della Crimea alla Federazione russa, le sanzioni hanno, infatti, rappresentato una scelta largamente condivisibile da tutti i governi occidentali. Dall’altro lato, alcune imprese impegnate in rapporti commerciali in Russia hanno, invece, mostrato preoccupazione.

È il caso del presidente degli industriali italiani, Carlo Bonomi, che recentemente ha sottolineato che le sanzioni stanno provocando danni da 700 milioni di euro in alcuni settori, particolarmente in affanno: 447 imprese, con oltre 11 miliardi di investimenti e 7,4 di fatturato.

Le sanzioni non hanno prodotto effetti immediati nell’economia russa, ma eventuali contro-sanzioni possono determinare problemi ad alcuni settori nel medio e lungo periodo, ampliando il dibattito sulla effettiva utilità di questo strumento per determinare un cambiamento di regime, il collasso finanziario della Russia e porre fine al conflitto in Ucraina.

Secondo alcune agenzie di rating, il default finanziario ha, infatti, una probabilità di verificarsi del 99 per cento entro l’anno, ma il portavoce presidenziale, Dmitrij Peskov ha minimizzato la questione: il default sarebbe artificiale perché la Russia dispone di tutte le risorse necessarie per ripagare il proprio debito, ha riserve esenti da sanzioni e il prezzo del petrolio più alto. Vi è, inoltre, una potente macchina propagandistica in grado di ammortizzare qualsiasi elemento di protesta e presentare la situazione come un ulteriore attacco dell’Occidente al popolo russo.

Il vicepresidente del consiglio di sicurezza, Dmitrij Medvedev, non ha paragonato le sanzioni contro la Russia ad un atto di aggressione internazionale, che «dà alla Russia il diritto alla difesa individuale e collettiva».

Le sanzioni e la popolarità

An aerial view of the Crimean Bridge linking Russia and the Crimean peninsula, Monday, Dec. 23, 2019. Putin on Monday inaugurated a railway bridge to Crimea, the longest in Europe, which is intended to facilitate links with Crimea, which Russia annexed from Ukraine in 2014. (Alexei Nikolsky/Pool Photo via AP)

La “guerra delle sanzioni” sembra, quindi, non ottenere l’effetto desiderato perché i livelli di preoccupazione della popolazione, rilevati dall’istituto di ricerca Levada Center circa l’impatto delle sanzioni sono simili a quelli del 2018, quasi ad indicare una radicata abitudine del cittadino medio a reagire e a sopravvivere ai tentativi destabilizzanti, secondo la propaganda del Cremlino, degli Usa e dell’Ue nei confronti della Russia.

Dal 2014 ad oggi le sanzioni hanno rafforzato il governo e il presidente, i livelli di nazionalismo e patriottismo, favorito la crescita dell’economia illegale e provocato sofferenze agli strati più deboli della società.

Rispetto alle sanzioni del 2014, sono state aumentate le misure restrittive selettive nei confronti degli oligarchi, nella speranza che potessero esercitare una “convincente” influenza sul presidente Vladimir Putin e porre fine all’invasione.

In realtà, anche in questo caso le sanzioni sono state facilmente superate. Gli oligarchi russi hanno trovato contromisure per evitare il congelamento dei beni, come i super yacht alle Maldive di cui si sono fatte successivamente perdere le tracce.

L’annessione della Crimea ha dimostrato che le sanzioni non sono state un deterrente per la Russia: non vi è stato alcun atteggiamento più moderato e cauto verso l’Ucraina.

Le sanzioni sono state un segnale importante di coesione interna dell’Ue e di una solidità dell’alleanza euro-atlantica nel condannare le azioni russe, ma le esportazioni russe dei prodotti non energetici sono state sostanzialmente stabili.

Inoltre, le sanzioni applicate anche ad altri paesi hanno dimostrato la difficoltà di bloccare situazioni emergenziali, di illegalità e di violazione del diritto internazionale.

Come aggirare

Le sanzioni sono diventate uno strumento inflazionato che ha perso progressivamente efficacia. Come si suole dire, “facta lex, inventa fraus” e, nel caso russo, sono state avviate due soluzioni alternative: la produzione in loco basata sulla costituzione di partnership (joint venture) con partner russi (il made with Italy) e la creazione di una società di diritto russa a responsabilità limitata con stabilimenti produttivi in Russia.

A ciò si aggiunga la pratica illegale del re-routing che prevede la rimozione della certificazione di provenienza e l’etichettatura dei beni colpiti dalle contro sanzioni.

Il New York Times ha scritto che l’Ue sta aspettando il risultato del secondo turno delle elezioni francesi per procedere all’embargo del petrolio russo, previsto in due fasi: prima quello da nave, poi quello da oleodotto.

Il sottosegretario di Stato americano, Wendy Sherman, ha aggiunto che il livello di sanzioni contro la Russia dovrebbe dare alla Cina una “buona comprensione” delle conseguenze nel caso decidesse di fornire assistenza economica la Russia.

Tuttavia, come afferma un esperto di commercio finanziario (energymotor.ai), Bepi Bedi, la «Russia ha imparato a vivere senza la finanza occidentale, avviando un processo di de-dollarizzazione e puntando sulla dipendenza energetica dell’Ue».

La Russia è oggi il paese con il più alto livello di sanzioni al mondo, seguita dall’Iran, dalla Siria, dalla Nord Corea. In base ai dati elaborati da Visual Capitalist, dal 2008 gli Stati uniti sono il paese che ha applicato il maggior numero di sanzioni verso la Russia.

Una situazione che, evidentemente, non preoccupa il presidente che da tempo ha deciso di guardare a Oriente per nuovi investimenti e rapporti commerciali, capaci di sostituire il volume degli scambi con l’Occidente. Un’impresa ambiziosa che solamente il tempo potrà definire vincente o meno.

Effetto sostituzione

FILE In this file photo taken on Friday, May 9, 2014, Russian President Vladimir Putin attends a parade marking the Victory Day in Sevastopol, Crimea (AP Photo / Ivan Sekretarev, File)

Nel frattempo, i brand internazionali sono stati sostituiti con quelli indiani o cinesi e, più spesso, da imprese russe che cercano di sopperire alla mancanza dei prodotti occidentali, investendo in nuovi settori nella speranza di colmare il vuoto che è stato lasciato dalle grandi imprese straniere.

Si era già verificato, con un discreto successo, nel 2014 con alcuni prodotti alimentari, come i formaggi francesi e italiani che non erano più esposti nei negozi russi, ma sono stati sostituiti dai prodotti russi.

Il turismo occidentale in Crimea è stato sostituito da quello russo, come ai vecchi tempi sovietici in cui la costa del Mar Nero era considerata la meta dei “sanatori”, ora resort del benessere per il cittadino medio.

L’esclusione di alcune marche lussuose dal mercato russo e dal famoso centro commerciale “Gum” nella Piazza rossa di Mosca non determina conseguenze irrimediabili, visto che allontanandosi dalle grandi città l’offerta commerciale è più alla portata economica del russo medio.

La Banca centrale russa ha segnalato che la bilancia dei pagamenti per beni e servizi da e verso l’estero, tra gennaio e marzo, ha registrato un saldo positivo di 58,2 miliardi, ben due volte e mezzo superiore allo stesso periodo dell’anno.

Sono passati due mesi dall’inizio del conflitto e la governatrice El’vira Nabiullina ha affermato che le sanzioni hanno avuto un effetto immediato sul mercato finanziario e solamente ora inizieranno ad incidere sull’economia. Tuttavia, il mercato ha reagito «più morbidamente di quanto ci aspettassimo».

Sebbene la banca centrale possa disporre della metà delle sue riserve, congelate all’estero, la Nabiullina ritiene che il mercato possa adattarsi a trasformazioni strutturali, prevedendo un ritorno all’inflazione del 4 per cento per il 2024. E Putin va avanti.

© Riproduzione riservata