Il nuovo numero di Scenari, la pubblicazione geopolitica di Domani, è dedicato al tema delle sanzioni: la guerra economica infuria in parallelo a quella militare, ma con quale obiettivo? Punire Vladimir Putin o rovesciarlo? La storia invita alla cautela sull’effetto geopolitico.

Oltre ad approfondimenti inediti firmati da Dario Fabbri e altri analisti e studiosi, le mappe curate dal nostro cartografo Luca Mazzali (faseduestudio/Appears) mostrano l’export e le sanzioni verso la Russia, i paesi che hanno ricevuto sanzioni dagli Stati Uniti, e guarderanno all’Ucraina, sia dal punto di vista storico sia attraverso gli ultimi aggiornamenti sull’avanzata dell’invasione russa nel paese.

Nel suo punto sulla guerra, Fra i due litiganti a godere è la Cina. Così Pechino vincerà la guerra, Dario Fabbri analizza i motivi per cui nei prossimi anni la Russia finirà con rinforzare la Cina: l’estendersi delle ostilità distrae grandemente gli Stati Uniti, li allontana dall’Indopacifico, ovvero dal quadrante più strategico per Pechino. Presa dal proposito di affondare l’avversario che è stato sovietico, inevitabilmente Washington concede un maggiore margine di manovra ai cinesi nel proprio estero vicino.

Non solo. Pechino è consapevole che una Mosca gravemente indebolita esisterebbe a suo vantaggio, la renderebbe inevitabilmente più potente. Questo è il principale effetto strategico della guerra in Ucraina, scatenata da Mosca, subìta da Kiev, vissuta da Washington, sfruttata da Pechino.

L’economista Branko Milanovic descrive le prospettive sul breve periodo per l’economia russa, ripercorrendo alcune crisi già vissute dall’Orso: se infatti nell’ultimo secolo la Russia ha vissuto shock finanziari maggiori di quello attuale, oggi le sanzioni riducono le possibilità di mitigare la crisi, e i prossimi anni del governo Putin assomiglieranno molto ai peggiori anni del governo Eltsin degli anni Novanta.

Nel suo articolo La lezione della Crimea. Così Mosca aggira le ritorsioni, la politologa Mara Morini fa partire la sua analisi dal caso della Crimea: la sua annessione alla Russia nel 2014 ha dimostrato che le sanzioni non hanno funzionato come deterrente. Non vi è infatti stato alcun atteggiamento più moderato e cauto verso l’Ucraina, anzi, Putin ha usato le misure adottate da Stati Uniti e Unione europea per rafforzare la propria popolarità e il nazionalismo nel paese, mentre l’economia russa ha dimostrato di sapersi adattare al nuovo contesto.

Francesca Berardi ha intervistato Michael Walzer, filosofo politico e professore emerito dell’Institute for Advanced Study di Princeton, in New Jersey, uno dei più prestigiosi centri di ricerca al mondo. Walzer, teorico della “guerra giusta”, sostiene che l’aggressione russa sia un atto criminale e spiega i motivi per cui risulta diversa dall’invasione dell’Iraq da parte degli Stati Uniti nel 2003.

Parlando di una possibile risoluzione del conflitto, Walzer sostiene che senza un pieno riconoscimento da parte della Russia della sovranità del governo ucraino, le sanzioni dovrebbero continuare: «Noi cittadini dovremmo spingere per sanzioni più forti mentre i combattimenti sono in corso. Abbiamo ottime ragioni morali per farlo. E dovremmo essere pronti ad accettare i sacrifici che queste comportano».

Vittorio Da Rold si chiede se le sanzioni siano più uno strumento per far cadere i governi o per rafforzarli. Le sanzioni ambiscono a mettere la popolazione, colpita nelle condizioni di vita quotidiane, contro il proprio regime e arrivare al cosiddetto “regime change”, il cambio di governo senza dover sparare un solo colpo di cannone. Ma i casi di Cuba, Iran e Corea del Nord raccontano una storia diversa: nella realtà, gli autocrati colpiti non cadono quasi mai. 

Il politologo Francesco Giumelli risponde invece ad alcune domande su come le sanzioni internazionali possano essere considerate utili nel conflitto ucraino. Non sono uno strumento perfetto, ma permettono di raggiungere obiettivi importanti a un costo ancora accettabile.

Non imporle assicurerebbe un potere negoziale importante alla Russia e sarebbe un segnale lanciato dagli Stati Uniti e dall’Unione europea di indifferenza verso la violazione di un principio di sovranità che da alcuni secoli permette di godere del benessere al quale siamo abituati.

A seguire, nel lungo saggio  (pubblicato in inglese su Foreign Affairs), il politologo Daniel W. Drezner racconta attraverso le sanzioni il declino degli Stati Uniti: gli Usa non sono più una superpotenza incontrastata, per questo i presidenti americani, frustrati, utilizzano in maniera ossessiva uno strumento facile e disponibile, anche se è inefficace e raramente è a costo zero.

La storica Flavia Canestrini propone per la sua analisi un precedente storico: a fine dicembre del 1981, Ronald Reagan annunciò un pacchetto di sanzioni economiche contro l’Unione sovietica con lo scopo di fermare le ingerenze di Mosca nella repressione polacca e i progetti energetici che avrebbero legato l’Europa alla Russia.

Attraverso il caso delle sanzioni contro l’Urss è possibile comprendere il senso e il valore di queste misure in un contesto globalizzato: mentre i mercati sempre più integrati si trasformavano in un nuovo campo di competizione e confronto aperto tra stati, le sanzioni diventavano una risposta tanto necessaria quanto economicamente inefficace.

L’economista Matteo Rizzolli discute il tema delle sanzioni attraverso l’analisi economica e comportamentale: i modelli di riferimento delle sanzioni sono quello mercantile classico e l’ottimismo dell’economia del crimine, ma gli studi del comportamento dicono che punire è controproducente. 

Mentre l’occidente si è in parte convinto di poter manipolare il comportamento russo tramite una batteria opportunamente disegnata di sanzioni, la Russia ha fatto della sua immunità alla sanzione un punto di orgoglio, aumentando il consenso interno al regime.

Jacob Lew, segretario del Tesoro degli Stati Uniti dal 2013 al 2017, sotto la presidenza Obama, ha tenuto il 30 marzo del 2016 un discorso profetico, che SCENARI pubblica per la prima volta in Italia: “L’evoluzione delle sanzioni e le lezioni per il futuro”.

In questo intervento-manifesto, Lew spiegava le condizioni necessarie per far funzionare l’impianto sanzionatorio: ampio sostegno internazionale, investimenti per sostenere gli sforzi e rimozione delle sanzioni una volta raggiunto l’effetto desiderato. 

Dalla prospettiva della Corea del Nord interviene il coreologo Antonio Fiori: le sanzioni nei confronti di Pyongyang hanno cominciato a essere applicate dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite in risposta al primo test nucleare sotterraneo, effettuato nell’ottobre del 2006.

La pressione dell’occidente non è servita, anzi, a volte le azioni sanzionatorie producono reazioni opposte a quelle desiderate: le sanzioni in Corea del Nord non si stanno rivelando solo inefficaci nel raggiungimento dei loro obiettivi, ma stanno anche causando effetti umanitari e di sviluppo deleteri che potrebbero addirittura perpetuare il conflitto a cui le stesse cercano di dare soluzione.

Nell’articolo Le sanzioni contro il Venezuela lo hanno avvicinato alla Russia, gli storici Raffaele Nocera e Alessandro Guida si focalizzano sulle sanzioni statunitensi in America Latina: se durante la Guerra fredda riguardarono quasi esclusivamente Cuba, con la fine del conflitto bipolare il Venezuela è assurto a nemico numero uno di Washington e di molte cancellerie europee. 

Ma anche in questo caso gli effetti sembrano controproducenti: le misure decise hanno dissanguato il paese, isolato Maduro sul piano regionale e internazionale e non hanno raggiunto il principale obiettivo, vale a dire porre fine a un regime reputato dittatoriale, ristabilendo la democrazia nel paese.

Inoltre, uno degli effetti delle sanzioni di questi anni è stato quello di favorire l’ulteriore avvicinamento fra Venezuela e Russia. Il paese latinoamericano, anche per via di una visione simile dell’ordine internazionale, si è affermato come l’interlocutore privilegiato di Mosca sia in ambito politico e strategico che nel comparto militare ed energetico nell’area.

Infine, lo storico Francesco Filippi si dedica all’Italia: quando nel 1935 Mussolini aggredisce l’Etiopia, Gran Bretagna e Francia, che con il loro peso geopolitico indirizzavano le scelte della Società delle nazioni, attivano dopo lunghe discussioni un sistema sanzionatorio con lo scopo di fermare l’espansionismo fascista. Tuttavia, ritardi, incertezze, disaccordi e interessi di parte contribuiscono al fallimento di una linea d’azione comune.

Le sanzioni si presentano come una dichiarazione di guerra all’economia italiana che il regime riesce a sfruttare alimentando la grancassa del malcontento interno, scaricando all’esterno colpe e responsabilità.

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