Hong Kong - Il giorno dopo lo scoppio dell’incendio devastante a Tai Po, nella parte nord-orientale di Hong Kong, la città è profondamente sotto shock: i morti accertati sono oltre 80, fra cui un vigile del fuoco di 37 anni, i dispersi circa 300, mentre 76 persone sono in ospedale, alcune in condizioni critiche. Per la seconda volta, cala la sera su edifici neri e morti, da cui ancora sprigionano alcune fiamme e colonne di fumo, per quanto il fuoco sia ormai prossimo ad essere domato.

A livello della strada, il caos angoscioso dei disastri: persone che si guardano intorno smarrite, cercando i volti dei loro cari, o cercando di raccapezzarsi in una realtà quotidiana che si è modificata così in fretta. E ci sono moltissimi volontari che hanno portato bottiglie d’acqua, viveri, coperte e beni di prima necessità, che porgono a chi ne ha bisogno. Ci sono vigili del fuoco dall’espressione esausta, e catene umane che si formano spontaneamente per distribuire gli aiuti.

La rabbia serpeggia online

Sui social, si moltiplicano le fotografie delle torri in fiamme, dei punti di raccolta sangue e dei gruppi che hanno bisogno di donazioni, inclusi i rifugi per animali domestici, dal momento che circa 2.000 fra cani e gatti sono rimasti coinvolti nel disastro. Di sera, un invito ad andare «a passeggiare a Tai Po» ha cominciato a diffondersi sui social, invitando dunque le persone a recarsi nell’area colpita per mostrare solidarietà con la loro presenza.

Questa, infatti, è la Hong Kong del post-2020, quando, direttamente da Pechino, venne introdotta la Legge sulla Sicurezza nazionale, che ha completamente modificato la vita politica del territorio. I partiti politici pro-democrazia sono scomparsi, dato che possono candidarsi a posizioni pubbliche solo persone ritenute “patriottiche” da una speciale commissione elettorale, e numerosi sindacati, organizzazioni non governative e perfino le unioni studentesche sono state fatte chiudere.

Ottenere il nulla-osta per le manifestazioni è diventato quasi impossibile, e anche i giornali di opposizione sono stati fatti chiudere. Per quanta rabbia serpeggi online, questa può esprimersi solo “passeggiando” vicino alle persone colpite e cercare di dare una mano ad alleggerire la loro tragedia.

Le indagini

L’incendio è uno dei più gravi della storia di Hong Kong, e con l’accrescersi del numero delle vittime, rischia di diventare il più grave in assoluto. Come è potuto accadere? Le prime indagini puntano a gravi mancanze da parte dell’azienda subappaltatrice che aveva vinto il contratto di ristrutturazione degli otto grattacieli del complesso Wang Fuk, costruito circa quarant’anni fa e avvolto, dal luglio scorso, da impalcature di bambù e reti di plastica. E sarebbero proprio queste ultime, fatte in materiali non ignifughi, insieme a polistirolo e polistirolo espanso, ad avere causato il diffondersi così rapido e mortale delle fiamme.

Il bambù, infatti, contrariamente alle apparenze, è non solo un materiale molto resistente e duraturo, ma anche difficile da bruciare - come dimostra il fatto che anche negli edifici andati a fuoco gran parte delle impalcature di bambù sono rimaste intatte. E quasi in modo surreale, proprio la faccenda delle impalcature di bambù è diventata una delle cose più discusse, rivelando una volta di più quanto tutto quello che avviene a Hong Kong abbia risvolti politici: il governo già da tempo sta promuovendo l’eliminazione graduale di questo tipo di impalcature, tipiche di Hong Kong.

Viene citata la sicurezza, ma considerando che Hong Kong è stata costruita con impalcature di bambù, il tema sembra poco convincente: alcuni esperti però fanno notare che le aziende di costruzioni cinesi, sempre più presenti sul territorio, non hanno familiarità con questa tecnica, e una maggiore integrazione politica ed economica con il resto della Cina passa anche dall’eliminazione del bambù.

La Commissione indipendente contro la corruzione, in un comunicato, ha annunciato di aver già aperto un’inchiesta sull’incendio, e tre persone che lavorano con l’azienda subappaltatrice sono già state arrestate con l’accusa di omicidio colposo. Il Capo dell’esecutivo di Hong Kong, John Lee, ha invece dichiarato di aver ordinato che tutte le case popolari e gli edifici pubblici in ristrutturazione debbano essere ispezionati, per assicurarsi che siano in regola.

Gli allarmi inascoltati

Ma quello che emerge in queste ore è anche che si tratta di un disastro annunciato: i residenti avevano infatti cercato di organizzarsi, e di fare pressione sulle autorità dal momento che dubitavano che le reti in plastica e il polistirolo espanso fossero in regola, dicendo anche di aver visto molti lavoratori fumare sulle impalcature senza essere redarguiti.

Gli allarmi anti-incendio, dicevano, erano difettosi: infatti, nessun allarme ha suonato. Ma nell’Hong Kong post-Legge sulla sicurezza nazionale i canali per comunicare questo tipo di cose sono diminuiti in modo drastico. La consigliera di distretto, Peggy Wong, per esempio, si era schierata dalla parte dell’azienda immobiliare, dicendo che le istanze dei residenti erano “calunnie demoniache”. Le scorciatoie, la massimizzazione dei profitti, l’utilizzo di forniture non a norma, e la mancanza di canali democratici sarebbero dunque molto più responsabili dell’orrore che Hong Kong vive in queste ore, che non le sue tradizionali impalcature di bambù.

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