Una delle credenziali con cui Joe Biden si è presentato al pubblico americano alle presidenziali del 2020 è stata la sua profonda conoscenza dei meccanismi che regolano il complesso sistema delle relazioni internazionali degli Stati Uniti, da contrapporre ovviamente alle decisioni assolutamente imprevedibili del suo predecessore, come quella riguardante un improvviso meeting con il dittatore della Corea del Nord Kim Jong un nel giugno del 2018.

Eppure, qualche settimana dopo lo scoppio del conflitto tra Israele e Hamas, il malumore cova proprio in uno dei luoghi su cui l’inquilino della Casa Bianca contava maggiormente, ovvero i funzionari del dipartimento di Stato. Due scoop giornalistici hanno messo in luce una realtà di diffidenza e malumore per una presidenza che in queste settimane ha bypassato il parere dei funzionari che si occupano della questione israelo-palestinese, proclamando ai quattro venti il sostegno incondizionato di Washington allo stato ebraico.

La prima rivelazione è dell’edizione americana di HuffPost: lo scorso 26 ottobre il segretario di stato Antony Blinken avrebbe incontrato diversi funzionari di medio livello che hanno espresso il loro disappunto per non essere stati consultati in merito alla loro area di competenza e nei giorni successivi ci sarebbe stata un’altra riunione per cercare di calmare le acque.

Nonostante Blinken abbia dichiarato pubblicamente di preferire uno staff dove c’è spazio per una grande diversità di vedute, ha anche fatto sapere ai suoi collaboratori che la loro opinione difficilmente potrà cambiare la linea ufficiale della Casa Bianca.

Un memo più esplicito

Non solo: in un’altra occasione avrebbe anche detto ai dissidenti di cercare di avere un impatto maggiore su altre aree del mondo. Un altro elemento viene invece svelato dal magazine Politico: un memo che circola nei corridoi del dipartimento di Stato è più esplicito. Brutalmente, si afferma che gli Stati Uniti dovrebbero essere più critici di Israele.

Non solo: vengono indicate due richieste che devono essere fatte quanto prima e riguardano l’imposizione di un cessate il fuoco nella Striscia e una postura pubblica che bilancia maggiormente critiche e sostegno, rendendo pubblici i rilievi nei confronti delle tattiche militari israeliane e sull’eccessivo numero di civili coinvolti nelle operazioni.

Due affermazioni che fino ad ora sono state fatte soltanto attraverso canali riservati. Nel documento si legge anche che la percezione dell’America è finora «quella di un attore diplomatico fazioso e disonesto» che «nel migliore dei casi non aiuta e nel peggiore danneggia la posizione americana nel mondo» e si conclude con uno statement decisamente tranchant: «Bisogna rendere chiaro che la violenza dei coloni nei confronti dei palestinesi e le confische illegali di terreni in Cisgiordania vanno contro i valori americani».

Una rivolta sotterranea come questa, quindi, potrebbe seriamente limitare la libertà d’azione di Biden nei confronti dello stato ebraico. Se la circolazione di documenti anonimi di dissenso è un’antica tradizione che serve al segretario di Stato di turno per tastare il polso dei propri sottoposti, raramente questi vengono diffusi all’esterno.

Segno che quindi la frustrazione è molta e si vogliono cambiare le cose anche ricorrendo all’intervento della stampa. Potrebbero essere legati a questo malcontento diffuso nelle fila dei diplomatici americani ad aver suggerito all’ex presidente Barack Obama di dichiarare in una recente intervista che servirebbe un approccio più “equilibrato” nei confronti dello stato ebraico.

La frattura

Questo è soltanto l’ennesimo segno di debolezza di un presidente che viene attaccato dai due lati della sua coalizione al Congresso e all’interno del Partito democratico: da una parte c’è un’ala progressista sempre più scettica del sostegno a Israele che rileva anche come sia forse illegale fornire armi a un paese che si rende autore di potenziali crimini di guerra, secondo la legge Leahy del 1997.

Dall’altra c’è un’ala moderata che chiede una maggiore equilibrio anche per quello che riguarda l’approccio all’economia, dove la Casa Bianca si è troppo avvicinata ai sindacati dell’auto nei mesi recenti, tralasciando quei donatori che sono cruciali per le sorti dell’elezione del 2024.

Un’impresa che appare sempre più in salita per un presidente in caduta libera nei sondaggi e che appare sempre più simile non già al suo predecessore Jimmy Carter, ma a Lyndon Johnson, che nonostante le sue ampie riforme sociali venne sconfitto durante le primarie del 1968 dall’impopolarità della sua posizione sulla guerra del Vietnam.

Un destino che ai dem appare ancora più nefasto e che potrebbe portare a esiti imprevedibili nei prossimi mesi, come l’elezione di un Donald Trump sempre più smaccatamente autoritario nei modi e nelle intenzioni e inseguito da procedimenti giudiziari di varia natura.
 

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