I sondaggi a un anno dalle elezioni sono rivelatori e bugiardi, nessun lo sa meglio degli americani, che sono ancora traumatizzati dalle elezioni del 2016 nelle quali, a questo punto della corsa, Donald Trump era poco più di una divagazione senza valore statistico.

I numeri che riguardano Joe Biden spaventano perché arrivano nella congiuntura terrificante della guerra a Gaza e del fronte ucraino più aperto che mai, cose sulle quali il presidente degli Stati Uniti ha un potere tutto sommato limitato. Ma alla Casa Bianca tocca rispondere anche delle avverse condizioni meteorologiche: è la fisiologia del leader del mondo libero.

Il sondaggio congiunto di New York Times e Sienna College è stato commentato dai democratici con un comprensibile grado di allarme. Biden viene dato indietro rispetto a Trump in cinque dei sei stati più contesi. L’ex presidente è in vantaggio di 10 punti in Nevada, 6 in Georgia, 5 in Arizona e Michigan, 4 in Pennsylvania.

Altri dati aggiungono preoccupazione. Meno di un quarto degli americani fra 18 e 29 anni approva la posizione della Casa Bianca sul conflitto a Gaza e le giovani generazioni pensano generalmente che la reazione di Israele all’attacco del 7 ottobre sia troppo dura.

Si tratta peraltro di persone meno informate rispetto ai loro pari di qualche anno fa: i quattro anni di paura e delirio di Trump avevano risvegliato la coscienza civile e alimentato il desiderio di essere informati, tendenze che si sono sopite con l’arrivo di Biden, restauratore di un’agognata normalità.

Il mago dei numeri elettorali, Nate Silver, dice che il tasso di approvazione di Biden è ai minimi storici, mentre quello di disapprovazione (che misura l’attiva contrarietà degli elettori) non è ai massimi, ma ci è molto vicino.

Il segno che l’allarme non è scritto solo in numeri evanescenti è che i più ferventi sostenitori di Biden stanno ponendo in forme sempre più esplicite la domanda: non è meglio se ti fai da parte?

Le parole di David Axelrod, scudiero di Obama, valgono per molti strateghi perplessi della sinistra: «Solo Joe Biden può prendere questa decisione», ha scritto commentando i sondaggi negativi. «Se continuerà a correre, sarà il candidato del Partito democratico. Quello che deve decidere è se si tratta di una decisione saggia, e se sia nel suo interesse e in quello del paese».

Evidentemente Axelrod non pensa che si tratti di una decisione saggia, e non necessariamente perché possa imputare a Biden particolari errori politici. È stato finora un timoniere esperto e stabile in un mare in tempesta, e basta il trittico pandemia-Ucraina-Gaza per ricordarsi da che tipo di forze storiche è stato travolto.

Questo è il punto. La popolarità del presidente degli Stati Uniti soffre sempre anche per colpe che non sono imputabili a lui. Risponde di nuove crisi internazionali che si affacciano e di recrudescenze di conflitti atavici. Risente di fattori vari, alcuni imponderabili, altri evidenti ma difficili da controllare, come il prezzo del petrolio, che determina il costo della benzina e perciò l’umore degli americani. La potenza che attraverso l’Opec ha più potere sul prezzo del greggio è l’Arabia Saudita.

Soffre anche dei problemi legati all’anagrafe. Biden avrà, se tutto fila liscio, 86 anni alla fine di un eventuale secondo mandato. 

Infine, il presidente americano risponde anche dei comportamenti di alleati che non sono sempre allineati con i suoi piani elettorali. Quello di Bibi Netanyahu sta diventando un caso di scuola.

Lui e Biden si detestavano molto prima della crisi e il premier israeliano aveva stabilito un ottimo rapporto con Trump. Nella gestione della guerra Bibi sta facendo tutto ciò che Biden ha chiesto di non fare, violando i paletti messi dagli Stati Uniti e ignorando le richieste della Casa Bianca. 

Questi scontri hanno un costo elettorale che solitamente viene diviso sulla base delle responsabilità. Il presidente degli Stati Uniti di solito è quello che salda anche i conti lasciati da altri.  

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