Da quando l’esercito israeliano ha risposto all’attacco di Hamas del 7 ottobre, bombardando e invadendo Gaza, sono morte 30.228 persone, 71.377 sono state ferite e più di 70mila edifici sono stati distrutti (dati Onu aggiornati al primo marzo 2024). Per selezionare questi obiettivi, Israele usa un sistema di intelligenza artificiale chiamato Habsora: “Il Vangelo”, il cui utilizzo è stato menzionato anche nell’accusa di genocidio presentata dal Sudafrica contro lo Stato ebraico presso la Corte internazionale di giustizia.

«Decisione finale umana»

«Habsora aiuta la divisione di intelligence militare dell’Idf a identificare gli obiettivi chiave, che vengono poi trasmessi all’aeronautica per effettuare gli attacchi», spiega Tal Mimran, professore di Legge internazionale e Tecnologia all’Università Ebraica di Gerusalemme, che ha lavorato per 10 anni in una sala obiettivi dell’Idf e come consulente legale del ministero della Giustizia israeliano. «Il sistema è in grado di analizzare ampie serie di dati e proporre potenziali target. In particolare, valuta i dati storici relativi agli obiettivi precedentemente individuati, consentendo di calcolare le quantità di munizioni necessarie, di proporre tempistiche precise e di stabilire le priorità. La decisione finale di attaccare compete poi a un comandante umano».

Sulla base dei bersagli che sono stati colpiti a Gaza, si possono individuare quattro tipi di target: gli obiettivi tattici, ovvero quelli militari standard come i guerriglieri armati, i magazzini di armi, i lanciarazzi, i quartieri generali militari. Gli obiettivi sotterranei: i tunnel che Hamas ha scavato sotto i quartieri di Gaza, anche dove ci sono gli ospedali, come dimostra un’inchiesta del New York Times dello scorso 12 febbraio. Le Case degli operativi, ovvero le abitazioni in cui si trova almeno un residente sospettato di essere membro di Hamas o della Jihad islamica. Infine gli obiettivi di potere: edifici privati e pubblici come università, banche, uffici governativi, che vengono colpiti per stabilire una deterrenza e spingere la popolazione civile a fare pressione su Hamas.

Addestramento falsato

Secondo Lucy Suchman, antropologa e professoressa emerita di Antropologia della Scienza e della Tecnologia alla Lancaster University, «Habsora integra dati differenti come le immagini provenienti dai satelliti o dai droni ad altre fonti. A ogni immagine viene associato un parametro o delle etichette, per esempio “militante di Hamas”. In questo modo si rafforzano categorie stereotipate e ipotesi non verificate».

Habsora è stato utilizzato per la prima volta nel maggio 2021 durante l’operazione “Guardian Of The Walls”, generando fino a 100 obiettivi al giorno. Oggi ne produce in media quasi 250. In quell’occasione, l’Istituto ebraico per la sicurezza nazionale d’America ha realizzato un report post-azione per comprendere il funzionamento del sistema. Dal documento si evince che l’esercito israeliano non aveva raccolto i dati sugli obiettivi che erano stati scartati dagli analisti e di conseguenza l’addestramento di Habsora era stato falsato. Sono passati tre anni da allora, quindi quel bias potrebbe essere stato corretto. Inoltre, l’Ifd ha più volte ribadito che l’utilizzo del sistema permette di colpire bersagli mirati, tutelando la popolazione palestinese. Tuttavia, la devastazione di Gaza e il numero delle persone uccise e ferite, pongono inevitabili domande sulla effettiva capacità del sistema di distinguere gli obiettivi militari da quelli civili.

«Qualsiasi sistema progettato per espandere e accelerare il targeting, in particolare nelle aree urbane densamente popolate, provocherà la morte di civili e sarà in violazione del Diritto umanitario internazionale», dice Suchman. «C’è una totale mancanza di responsabilità in questo e in altri sistemi di targeting automatico. Habsora potrebbe essere considerato centrale nel meccanismo del genocidio, data la sua funzione di accelerare la generazione di obiettivi in un contesto in cui le restrizioni sui danni ai civili sono state abolite».

Tal Mimran non è d’accordo e ritiene che Habsora fornisca obiettivi di alta qualità, permettendo di analizzare scenari complessi in tempo reale e di rispondere rapidamente alle mutevoli condizioni del campo di battaglia. Tuttavia, nonostante i benefici strategici, ne riconosce i possibili rischi: «Quando un sistema di selezione degli obiettivi genera rapidamente un lungo elenco di potenziali bersagli, potrebbe accadere che il comandante – in un clima di pressione durante un conflitto armato – non abbia il tempo sufficiente per esaminarli tutti. C’è da temere un'eccessiva dipendenza dal sistema».

Effetto “black-box”

L'applicazione dell’AI in guerra comporta sfide tecniche che danno adito a preoccupazioni etiche e rimane incerto se questi sistemi possano soddisfare gli standard richiesti dal Diritto internazionale. La prima sfida tecnica è la parzialità.

«È stato dimostrato che i sistemi di AI, basati sull'apprendimento automatico, possono mostrare dei pregiudizi – spiega Mimran – derivanti dai dati utilizzati per addestrare il sistema. Questo potrebbe portare a conseguenze significative nel processo di targeting. Ad esempio, i dati di addestramento per un sistema decisionale potrebbero essere distorti, contenendo una sovra rappresentazione di immagini o video con individui di una certa etnia. Il sistema potrebbe imparare inavvertitamente che le persone appartenenti a questo gruppo sono tutte nemiche, rendendole obiettivi militari. La seconda sfida tecnica è chiamata effetto “black-box”: invece di essere pre-programmata per seguire specifiche procedure decisionali, la tecnologia AI impara dall'addestramento e dalle applicazioni per prendere le sue decisioni e può accadere che gli sviluppatori non capiscano come arrivi a un determinato risultato». L’effetto “black-box” rappresenta un paradosso etico. Minore è il controllo umano sull’algoritmo alla base di un sistema AI, maggiore sarà la sua efficienza. Quindi, se per esempio ci affidiamo all’algoritmo per ridurre gli obiettivi civili e individuare meglio il target militare, quella capacità aumenterà al diminuire della nostra comprensione delle risposte del sistema.

«La guerra sarà sempre più automatizzata e intensificata dagli algoritmi – dice Suchman – l’espansione dei dispositivi di sorveglianza e la relativa accumulazione di dati sta portando a un crescente affidamento sull’intelligenza artificiale al posto della conoscenza della realtà sul campo». Ed è giusto che sia un algoritmo a decidere chi deve vivere e chi deve morire?

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