Le parole del papa sulla necessità di aprire negoziati per risolvere la crisi ucraina – a partire da una presa d’atto da parte di Kiev dell’impossibilità di avere la meglio nel conflitto con annessa polemica sulla scelta della resa con tanto di bandiera bianca, evocata da Bergoglio in un’intervista rilasciata alla tv svizzera – hanno avuto vari effetti.

Fra le cose più rilevanti, a livello ecclesiale e diplomatico, c’è la reazione della chiesa greco-cattolica dell’Ucraina che spiega il suo punto di vista sull’invasione russa del paese.

Il sinodo della chiesa orientale in comunione con Roma, guidata dall’arcivescovo di Kiev, sua beatitudine Sviatoslav, stavolta non ha scelto i toni indignati e nazionalistici usati in altre occasioni per polemizzare con la Santa Sede sulla questione, ma ha affrontato il tema centrale dell’intervento del pontefice, quello appunto dei possibili negoziati con il Cremlino.

Putin disumanizza gli ucraini

«Nella mente di Putin - scrivono in una dichiarazione i vescovi del sinodo geco-cattolico - non esistono cose come l'Ucraina, la storia ucraina, la lingua e la vita ecclesiale ucraina indipendente. Tutte le questioni ucraine sono costruzioni ideologiche che possono essere sradicate. L’Ucraina non è una realtà ma una mera “ideologia”. L’ideologia dell’identità ucraina, secondo Putin, è “nazista”».

Quindi, prosegue il testo: «Chiamando “nazisti” tutti gli ucraini, Putin li disumanizza. I nazisti (in questo caso gli ucraini) non hanno il diritto di esistere», devono invece «essere annientati, uccisi. I crimini di guerra a Bucha, Irpin, Borodianka, Izium e in altri luoghi occupati dalle forze russe hanno illustrato agli ucraini (e a tutte le persone di buona volontà) il chiaro scopo di questa guerra: eliminare l’Ucraina e gli ucraini».

Non solo: «Vale la pena ricordare che ogni occupazione russa del territorio ucraino porta allo sradicamento della Chiesa cattolica ucraina, di qualsiasi Chiesa ortodossa ucraina indipendente e alla soppressione di altre religioni e di tutte le istituzioni ed espressioni culturali che non sostengono l’egemonia russa».

Quindi la conclusione amara sulle prospettive del conflitto: «Gli ucraini continueranno a difendersi…La storia recente ha dimostrato che con Putin non ci saranno veri negoziati. L’Ucraina ha negoziato la rimozione del suo arsenale nucleare nel 1994, all’epoca il terzo più grande al mondo, più grande di quello di Francia, Regno Unito e Cina messi insieme. In cambio l’Ucraina ricevette garanzie di sicurezza riguardo alla sua integrità territoriale (compresa la Crimea) e all’indipendenza, che Putin era obbligato a rispettare».

«Il memorandum di Budapest del 1994 – osservano i vescovi greco-cattolici – firmato da Russia, Stati Uniti e Regno Unito non vale la carta su cui è stato scritto. Così sarà per qualunque accordo “negoziato” con la Russia di Putin».

Per cui, non basteranno tutti gli inviti a negoziare che provengono da più parti, «compreso lo stesso Santo Padre», perché «gli ucraini continueranno a difendere la libertà e la dignità e per raggiungere una pace giusta».

Coscienza dell’umanità

Un diplomatico di lungo corso come mons. Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della Santa sede presso l’Onu di Ginevra dal 2004 al 2016, ha detto al sito vaticano Vatican news, in merito all’impegno di Francesco per la pace: «Il Papa sta svolgendo il suo ruolo di coscienza dell’umanità in modo molto articolato e forte. Mi sembra che l’unica voce ragionevole che si levi in questo momento per affrontare il problema del disarmo, delle guerre piccole o grandi, sia quella di papa Francesco, che sta rendendo un grande servizio alla famiglia umana».

«Mettendo in risalto le conseguenze di tutte le decisioni politiche che scelgono la via della guerra - ha aggiunto il diplomatico vaticano - il Papa cerca di evitare che possa capitare qualcosa di terribile, insistendo continuamente su quanto sia necessario che le persone si siedano intorno a un tavolo e dialoghino, che usino la strategia della diplomazia o l’approccio del comune buon senso al dialogo».

In effetti Bergoglio sta dando seguito all’elaborazione dei suoi predecessori iniziata con Benedetto XV in occasione della prima guerra mondiale, quando il papa coniò nel 1917 la definizione di «inutile strage», ma già due anni prima, nel 1915, rivolgendosi ai capi delle nazioni belligeranti, affermava: «Scongiuriamo voi, che la divina provvidenza ha posto al governo delle nazioni belligeranti, a porre termine finalmente a questa orrenda carneficina, che ormai da un anno disonora l’Europa. È sangue fraterno quello che si versa sulla terra e sui mari! Le più belle regioni dell’Europa, di questo giardino del mondo, sono seminate di cadaveri e di ruine».

Da allora, il «mai più la guerra» è stato ripetuto in vari modi dai pontefici che si sono succeduti; ora Francesco fa un passo in più quando nell’enciclica Fratelli tutti (del 2020), afferma: «oggi è molto difficile sostenere i criteri razionali maturati in altri secoli per parlare di una possibile “guerra giusta”».

Vaticano tagliato fuori

Ciò che però più prosaicamente viene rimproverato al papa, è di richiamare alla propria responsabilità solo l’Ucraina, e non anche - anzi in primo luogo - l’invasore russo.

È probabile tuttavia che Francesco intendesse rivolgersi all’Europa e alla Casa Bianca oltre che a Kiev, in quanto parti più ragionevoli e razionali del conflitto in corso; anche perché la durata della guerra, il prezzo pagato dalle popolazioni civili ucraine, l’enorme consumo di risorse finanziarie richiesto dal prolungarsi del confronto militare e l’incertezza sull’esito finale dello stesso - considerati i dubbi che serpeggiano in molte capitali occidentali e l’assenza di alternative strategiche messe a punto dalla diplomazia internazionale – fanno sì che le parole del papa vengano ufficialmente commentate criticamente dalle varie cancellerie, ma in realtà infrangono un tabù: quello del negoziato possibile con Putin.

Francesco, anzi, nella famosa intervista alla tv svizzera, indica anche un mediatore possibile, ovvero la Turchia di Recep Tayyp Erdogan. Di certo fra le conseguenze dell’ultimo intervento del papa sul tema, ci sarà l’esclusione – a meno che non cambi radicalmente lo scenario – dell’ipotetica mediazione vaticana, sia essa interpretata dal cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato, oppure dal cardinale Matteo Zuppi, presidente della Cei e inviato speciale del papa per la crisi ucraina.

Né Kiev, né divere capitali europee, potrebbero accettarla a cuor leggero. Per non parlare dei rapporti fra Santa sede e chiese cattoliche dell’Europa orientale, oggi ridotti ai minimi termini.

© Riproduzione riservata