Il cambiamento è giovane: tutte le proteste della Gen Z

La Gen Z (i nati dal 1997 al 2012) si fa risentire in Asia. Sembra quasi che si sia data il turno con la generazione precedente, quella delle Primavere arabe, ma cambiando continente e soprattutto esiti. In tre anni sono caduti tre governi a causa delle manifestazioni popolari iniziate dai giovani: Sri Lanka, Bangladesh e Nepal. I giovani srilankesi ci hanno messo cinque mesi a sconfiggere il clan dei fratelli Rajapaksa che, pur aureolati dalla vittoria contro le Tigri Tamil, dirigevano il paese da anni. Sei settimane sono state sufficienti in Bangladesh per provocare la caduta di Sheik Hasina, la «dama di ferro» orientale e solo due giorni sono bastati per cacciare il governo nepalese. Le ragioni sono molto pragmatiche e meno ideologiche di ciò che si potrebbe pensare: nel caso dello Sri Lanka erano i ripetuti blackout di elettricità e la mancanza di carburante. In Bangladesh causa scatenante è stata la diatriba sulla legge delle quote nella funzione pubblica. In Nepal è stata la sospensione di Internet e dei social media. Femministe e Gen Z: chi sono le cantanti che stanno cambiando le regole di TikTok Beni comuni La Gen Z si batte per i common goods, i beni comuni a cui pensa di aver diritto. Solo in seconda posizione viene la democrazia, che tanto aveva infiammato le generazioni precedenti. Pragmatismo dei beni essenziali irrinunciabili: i giovani si battono contro spossessamento e deprivazione. Recentemente, in Madagascar, sono scesi in piazza per contestare le interruzioni dell’acqua corrente e di elettricità facendo saltare il governo di Andry Rajoelina. In Perù si sono ribellati contro la mancanza di sicurezza. In Marocco a causa delle insufficienze della sanità pubblica (gridavano «non vogliamo stadi ma ospedali» in riferimento ai lavori per la coppa d’Africa). In Madagascar lo slogan era «non vogliamo il potere ma elettricità». E in effetti sono stati i militari a riprendere in mano il paese. Come ai tempi delle rivolte arabe, anche queste mobilitazioni non hanno leader ma solo “influencer” sui social. Ciò permette una rapida mobilitazione ma denota anche una fragilità: senza forze strutturate non si possono occupare posti di comando o programmare riforme. Nondimeno la forza della Gen Z rimane significativa grazie alla sua comunicabilità: scegliere tematiche semplici e globali serve a contagiare la rete mondiale, dando l’esempio in altri paesi. Ciò rende difficile la reazione delle autorità: una repressione selettiva non è possibile e utilizzare quella generalizzata aumenta la magnitudine delle proteste. Rivolta Gen Z in Madagascar: «Democrazia da conquistare» I fallimenti del potere Interessa alla Gen Z mettere in luce i fallimenti delle classi al potere: un modo pragmatico e concreto di giudicare gli effetti della politica. D’altronde questi giovani sono stati educati alla scuola dell’efficientismo e del successo e non possono ammettere di essere guidati da leader fallimentari e improduttivi. Al limite si può accettare un certo grado di corruzione se la gestione della governance dimostra di funzionare. Si spiega così la disaffezione dei giovani da certi governi democratici in Africa che non sono riusciti a garantire sviluppo e sicurezza, come nel Sahel dove ne hanno approfittato, ancora una volta, i militari. Tuttavia in Asia le recenti mobilitazioni sono rimaste nel quadro democratico e le prossime elezioni diranno quanto cambiamento è stato possibile ottenere. Tra i giovani tira un’aria da “ora o mai più”: dal punto di vista demografico il pianeta ha passato il picco giovanile e sta invecchiando rapidamente. Anche paesi come Cina e India sono in decrescita. Dopo aver previsto gli 11 miliardi, ora i demografi dicono che non si raggiungeranno nemmeno i 9. Solo l’Africa continua a crescere, oltre alcuni paesi del Medio Oriente e il Pakistan. Nepal, la rivoluzione della generazione Z ora teme il golpe militare Involuzione demografica La Gen Z rappresenta circa il 25 per cento della popolazione mondiale (in Africa il 35 per cento) e sente di avere un peso che potrebbe svanire in pochi anni. L’involuzione demografica coi suoi effetti si può osservare in Europa, il continente più vecchio del mondo. Malgrado ripetute rivolte – come quelle francesi – sembra lontana l’illusione del superamento della frattura sociale, delle disuguaglianze e il tempo delle battaglie contro guerre e razzismi. Vent’anni di politica securitaria e antimigratoria (da destra e da sinistra) invece di curare hanno aggravato il dissenso. Nella società il clima è più pesante anche a causa delle guerre a Gaza e in Ucraina. Ora, quando i giovani europei protestano, le manifestazioni si fanno presto violente, con rabbia e non-senso a farla da padroni. Tuttavia sarà sempre più difficile per i regimi – anche quelli autoritari – restare fissi sul mantra “ristabilire l’ordine”. Le società attuali sono troppo complesse e informate per lasciarsi addomesticare. Ad ogni tipo di autorità serve una narrazione convincente che persuada anche i giovani. Un esempio è certamente il patriottismo alla russa utilizzato da Vladimir Putin, che è riuscito a rovesciare il giudizio sulla guerra in Ucraina: da aggressore a vittima dell’Occidente. Le élite – soprattutto quelle da tempo al potere – devono comunque guardarsi da una generazione che non teme di giudicare e condannare: il risentimento sociale per la corruzione e le diseguaglianze non ha più frontiere. Forse non dobbiamo aspettarci rivoluzioni in piena regola ma rivolte con conseguenze non previste. Dal Nepal a Gaza, One Piece diventa icona di resistenza Rivolte moltiplicate Il movimento brasiliano Passe Livre contro l’aumento del biglietto dell’autobus iniziò la crisi del governo di Dilma Roussef e – senza volerlo – favorì la fase in cui emerse il populismo carioca. La mobilitazione spagnola degli Indignados e quella greca occuparono per mesi Plaza del Sol e piazza Syntagma. A Madrid si protestava contro il caro casa e le banche. Ad Atene contro l’austerità imposta dall’Europa. In entrambi i casi movimenti anarchici tentarono senza successo di cavalcare le proteste. Il risultato fu il rafforzamento di un sentimento populista camaleontico, manipolato poi da destra e da sinistra. Dall’altra parte dell’oceano, le proteste cilene – sia Mapuche sia delle donne contro la violenza – ebbero momenti di vera notorietà globale sui social e sui media, sia all’inizio sia alla fine del decennio. Ma oggi vediamo salire al potere a Santiago l’estremista di destra José Antonio Kast, un sostenitore di Augusto Pinochet. A inizio 2013 iniziarono le manifestazioni per Gezi Park a Istanbul, e alla fine dell’anno quelle di piazza Majdan a Kiev (ribattezzata Euromajdan) contro il governo filo-russo di Viktor Janukovic. Nell’agosto del 2014 iniziava la «rivolta degli ombrelli» a Hong Kong contro le riforme in senso autoritario imposte da Pechino. Nel 2016 ci furono manifestazioni in Indonesia e Corea, queste ultime finite con l’impeachment. Proteste giovanili esplosero nel 2019 – un anno particolarmente ricco di movimenti – in Sudan (portando alla destituzione del regime di al Bashit), Iraq, Algeria (contro il regime militare che durarono fino al Covid), India, Libano e Haiti. A Parigi ci fu la “Nuit debout” (notte svegli) nel 2016, senza dimenticare Occupy Wall Street del 2011. Negli ultimi venticinque anni le rivolte si sono moltiplicate, spinte da una gioventù insoddisfatta alla ricerca di un modello alternativo. Molte sono fallite sotto i colpi della repressione o spente dal lockdown imposto dal Covid. Altre sono state sviate dal populismo. Alcune hanno dato inizio a qualcosa di nuovo. Resta che in un mondo governato da élite di vecchi, i giovani hanno voglia di contare e non hanno finito di farsi sentire. Il lavoro deve avere senso, la ricchezza non basta più: è la sfida della Gen Z