La “mission impossible”, salutata da esplosioni all’arrivo a Kiev, proponeva un piano in 10 punti che prevedeva la de-escalation dei combattimenti, il rimpatrio dei prigionieri di guerra e dei bambini e l'esportazione senza ostacoli di cereali attraverso il Mar Nero. Così era stato definito il viaggio di alcuni leader di paesi africani in Russia e Ucraina.

La missione

Annunciata come l’”iniziativa dei presidenti” - Sudafrica, Egitto, Senegal, Congo Brazzaville, Comore, Zambia e Uganda - ha in realtà dovuto registrare tre defezioni pesanti dell’ultimo minuto: quelle di Abdel Fattah el-Sisi, Denis Sassou Nguesso presidente della Repubblica del Congo e Yoweri Museveni, presidente dell'Uganda. Capitanata dal presidente del Sudafrica Cyril Ramaphosa, la delegazione, composta dal presidente dello Zambia Hakainde Hichilema, del Senegal Macky Sall, delle Comore Azali Assoumani, e da alti rappresentanti di Egitto (c’era il primo ministro Madbouly), Uganda e Congo Brazzaville, dopo essere atterrata in Polonia, è arrivata a Kiev e a San Pietroburgo, per gli incontri con i presidenti Zelensky e Putin.

Gli sforzi non hanno prodotto alcun risultato nell’immediato. Il presidente russo Vladimir Putin è apparso respingere ampie parti del piano, così come Zelensky.

La road map

Sembra comunque probabile che il filo di comunicazione stabilito non si interromperà. Per comprendere la road map che ha condotto i leader africani nell’Europa dell’Est e più in generale il posizionamento dell’Africa, o perlomeno di un buon numero di suoi paesi sul conflitto in Ucraina, è utile fare dei passi indietro e isolare una serie di avvenimenti o scelte fondamentali, accaduti prima di questa missione.

All’entusiasmo mostrato da tutto il blocco Nato e una buona fetta di resto del mondo verso l’appoggio incondizionato a Kiev, l’Africa ha sempre risposto con estrema freddezza. Molti paesi del continente sono rimasti pubblicamente neutrali e spesso si sono astenuti in occasioni dei voti di risoluzioni contro la Russia alle Nazioni Unite.

Quando a marzo la Corte penale internazionale dell’Aia ha emesso un mandato di cattura contro il presidente russo Vladimir Putin che costringe tutti i paesi firmatari dell’International Criminal Court (Icc) ad arrestarlo non appena dovesse mettere piede sul loro suolo, le reazioni in Africa non sono state di chiaro allineamento.

Il Sudafrica che ad agosto ospiterà la riunione dei Brics e che quindi dovrebbe accogliere e subito dopo procedere all’arresto di Putin, in aprile ha fatto sapere per bocca del suo presidente Ramaphosa, di voler uscire dal novero dei paesi che aderiscono all’Icc. Forti anche di un compattamento di quasi tutto il contesto politico interno, il Sudafrica e il suo presidente, hanno perseguito una strategia di sganciamento dai dettami occidentali verso Mosca e si sono messi alla guida di un movimento di “non allineati” africani, non ostili alla Russia.

Le accuse a Pretoria

Il quadro si completa con la recente accusa dell'ambasciatore degli Stati Uniti in Sudafrica Reuben Brigety, secondo cui Pretoria starebbe fornendo armi a Mosca. Al di là del successo apparentemente scarso della missione, l’iniziativa dei leader segna una serie di punti decisivi per gli equilibri futuri del mondo e per il posizionamento del continente africano.

Il viaggio ha rappresentato un'opportunità per l'Africa di discutere in prima persona gli effetti della guerra soprattutto sulla sicurezza alimentare su milioni di persone in tutto il continente e di proporsi come interlocutrice primaria nelle discussioni future riguardo grano e cereali. Per la Banca africana di sviluppo, la guerra ha portato a una carenza di circa 30 milioni di tonnellate di grano.

Per la prima volta nella storia, l’Africa irrompe sulla scena internazionale con una propria fisionomia, una sua proposta e un peso politico. Quel continente abituato a ospitare colloqui di pace, ad apparire al mondo come un mero contenitore di aiuti esterni, in permanente bisogno di sostegno, mediazioni e appoggi dal Global North, si segnala come realtà geopolitica.

«Il fatto che l'Africa sia stata in grado di esprimersi intorno al conflitto è un fatto positivo – ha dichiarato ad Al Jazeera Christopher Afoke Isike, professore di politica africana e relazioni internazionali all'Università di Pretoria – c’è chi dice che l'Africa non aveva motivo di andare lì, quando abbiamo tanti conflitti in casa. Ma la guerra in Ucraina ha un impatto diretto su di noi per la carenza di esportazioni di grano e fertilizzanti ed è una minaccia per l'Africa, più del conflitto in Sudan».

Il tentativo, infine, potrebbe essere il primo di una lunga serie: «In generale, il colloquio con gli africani continuerà - ha dichiarato portavoce del Cremlino Peskov - alcuni temi delineati durante i colloqui, come ha detto il presidente Putin, potrebbero essere implementati». Il dialogo, quindi, andrà avanti, «anche in occasione del vertice Russia-Africa che si terrà tra un mese a San Pietroburgo».

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