«Un disastro» lo ha definito Donald Trump, mentre la macchina della campagna elettorale di Joe Biden piazzava messaggi sponsorizzati su Google per chi cercava “DeSantis disaster”, “DeSantis fail” e altre espressioni simili. 

Ed effettivamente l’annuncio della candidatura di Ron DeSantis, organizzato su Twitter Spaces alla presenza di Elon Musk, è stato un disastro tecnico e organizzativo di proporzioni presidenziali, con la voce del governatore della Florida continuamente spezzata da interferenze, fastidiose interruzioni e imbarazzanti silenzi nei quali sembrava di sentirlo mentalmente pregare Musk che spegnesse e riaccendesse.

Ma l’impotente Musk si è limitato a certificare quello che i 700mila utenti inizialmente collegati avevano capito anche da soli: «Il sistema continua a incepparsi». E così più della metà degli ascoltatori ha abbandonato la piattaforma nel giro di pochi minuti, segno impietoso di quanto sia difficile affermarsi nello spietato mercato dell’attenzione che DeSantis ha voluto sfidare, aggirando la mediazione televisiva classica.

Il disastro del mezzo ha completamente oscurato il messaggio del più presidenziabile dei repubblicani di rito trumpiano, che negli ultimi mesi è precipitato in una crisi di sondaggi e d’identità, dato che tutti gli indicatori dell’opinione pubblica spiegano che l’elettorato di destra preferisce il Trump originale a una sua copia tutto sommato ancora semisconosciuta.

Negli annunci delle candidature presidenziali le parole contano poco rispetto alle immagini, all’ambientazione, agli umori che il contesto trasmette. A distanza di otto anni tutti gli americani ricordano la scala mobile della Trump Tower che ha portato Trump e Melania nella lobby del palazzo, momento fondativo di tutto quello che sarebbe venuto dopo. 

Dell’annuncio di DeSantis si ricorderà invece il gigantesco “glitch”, l’inghippo tecnico che ha rovinato tutto, la voce rotta non dall’emozione ma dalla banda che non regge, dal segnale che va e viene, fatalmente amministrato dall’uomo che manda satelliti in orbita e permette all’esercito ucraino di difendersi dall’aggressore russo.

È un dramma ricorrente: la riforma sanitaria di Obama ha cambiato il volto degli Stati Uniti, ma nella psiche collettiva americana è rimasta impresso soprattutto il disastroso lancio della piattaforma digitale attraverso cui milioni di persone avrebbero potuto finalmente ottenere un’assicurazione sanitaria a prezzi accessibili.

Musk è l’altro sconfitto del disastro tecnico di DeSantis. Per il magnate di Twitter doveva essere il momento dell’incoronazione come garante della piattaforma che permette di esprimersi liberamente, mentre tutto il panorama mediatico, a partire da Fox News, è infangato da meccanismi di potere, autocensura e subordinazione politica. 

È stato invece il momento in cui si è svelato con più forza e chiarezza ciò che era già evidente: il Twitter di Musk è una struttura fragile, manipolabile, piena di problemi, infestata dai bot. Una giungle digitale dove è sconsigliabile avventurarsi per chi è in cerca di visibilità e agibilità politica. Ma questo DeSantis lo ha scoperto troppo tardi.

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