Le parole che mancano nella dichiarazione di Joe Biden sull’attacco anglo-americano alle basi degli Houthi in Yemen sono: Gaza, Israele, Hamas, Iran.

Il presidente si è attentamente curato di non presentare l’operazione militare come estensione per procura del conflitto fra Israele e Hamas, che avviene nell’orbita delle ostilità promosse dall’Iran, e l’ha invece inquadrata come operazione di difesa del commercio internazionale che i ribelli filo-iraniani stanno mettendo a repentaglio con le loro aggressioni navali.

Il 9 dicembre gli Houthi hanno attaccato navi americane nel Mar Rosso, ma da mesi aggrediscono un po’ chi capita in quel braccio di mare, e tutto sommato la coalizione a guida americana sta difendendo gli interessi di tutta la comunità internazionale.

Biden ha quantificato i danni globali: «Più di 50 paesi sono stati danneggiati da 27 attacchi alle navi commerciali. Equipaggi di oltre 20 paesi sono stati minacciati o presi in ostaggio in azioni di pirateria. Oltre 2mila navi sono state costrette ad allungare le rotte di migliaia di chilometri per evitare il mar Rosso, cosa che può causare settimane di ritardi nei tempi di consegna delle merci».

È il garante dei processi della globalizzazione e della libera movimentazione delle merci che parla, non solo il difensore dell’interesse nazionale. I missili li mettono gli americani e gli inglesi (in compagnia di una coalizione che comprende anche Bahrein, Olanda, Canada e Australia), ma i benefici li sente anche la Cina, il paese che fra tutti muove più navi fra il Mar Rosso e il Canale di Suez.

Certo, gli equipaggi cinesi nelle scorse settimane hanno regolarmente segnalato ai ribelli yemeniti che il personale a bordo era interamente cinese, e così sono passati indenni dallo stretto, ma nel mercato globale interconnesso a lungo andare una strettoia commerciale importante infestata dai pirati non è un buon affare.

Biden con questo attacco sottolinea il suo ruolo di tutore della globalizzazione a trazione americana, leader del mondo libero che difende le infrastrutture dell’ordine liberale con la diplomazia, le coalizioni internazionali, il ricorso all’Onu e se serve anche con le armi. Va in direzione contraria rispetto al verbo nazionalista e protezionista che prevale oggi un po’ ovunque.

Il problema è dunque di natura elettorale. Lunedì inizia con il caucus dell’Iowa il percorso con cui Donald Trump promette di calpestare tutti i rivali repubblicani e di conquistare in estate la nomination per poi sfidare di nuovo Biden. 

L’attacco agli Houthi, portato nel nome dell’ordine liberale, è una preda facile della retorica anti-globalista dell’universo trumpiano, che già nella notte ha preso a criticare il presidente che protegge con l’artiglieria pesante pagata dal contribuente americano il passaggio delle navi commerciali cinesi, ennesima umiliazione da parte del regime di Pechino.

Biden si è messo nella direzione contraria rispetto a quella in cui soffia il vento fra gli elettori americani. Tutto parla di disimpegno internazionale, introflessione e pragmatica presa di distanza dagli scenari di conflitto, grovigli insolubili e dispendiosi che sembrano lontani dall’interesse nazionale degli Stati Uniti e lontanissimi dalle preoccupazioni degli elettori dell’Iowa. 

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