Il pane piccolo della Bolivia: perché la sinistra è in crisi

Le presidenziali in Bolivia, che vedranno il primo turno domenica 17, non hanno ancora un vincitore, ma hanno già una sconfitta: la sinistra. Questa con il Mas (Movimento al Socialismo) ha profondamente cambiato il paese andino governandolo, dal 2006 al 2019 con Evo Morales e poi, dopo l’effimero golpe di quell’anno, con Luís Arce, dal 2020 fino a oggi. Sotto i colpi di una continua lotta intestina, che ha visto contrapporsi in particolare il presidente uscente al leader storico del Mas questo ha concluso, almeno per ora, il suo ciclo storico, perdendo parte del consenso nella sua folta base indigena, Aymara e Quechua. Gli anni migliori, beneficiando della cosiddetta bonanza del prezzo del gas, erano caratterizzati dalla stabilità dei prezzi, dalla bassa inflazione e dall’aumento costante del potere d’acquisto delle classi popolari. Oggi l’inflazione arriva al 25 per cento e i sussidi statali, giunti a superare il quattro per cento del Pil, marcano un modello in crisi. Il “femminismo bastardo” di Marìa Galindo: «Uscire di casa contro l’oppressore, la lotta politica deve essere concreta» Simbolo ne è il cosiddetto “pane di battaglia”, tradizionalmente sussidiato dallo stato. Questo dalla fine del 2024, per non aumentarne il prezzo, ha visto ridotte le proprie dimensioni dai tradizionali 100 grammi ad appena 60. Così il “pane chico”, il pane piccolo, è divenuto il simbolo delle ridotte speranze dei boliviani di proseguire con un modello che pure avevano sostenuto a lungo, in particolare nell’area andina, mentre nella cosiddetta mezza luna fertile, sempre era rimasta forte l’opposizione, per lo più bianca. Due candidati per una sola destra A misurarsi nel primo turno, e presumibilmente a sfidarsi ancora nel ballottaggio previsto per il 19 ottobre, saranno così due figure tradizionali della destra neoliberale che, si potrebbe dire, si candidano divisi per colpire uniti. Uniti fino a poche settimane fa in un fronte unitario delle opposizioni, impalpabili le differenze ideologiche, la duplice candidatura cumulerebbe quasi il 50 per cento delle aspettative di voto. Entrambi con il pedigree economico giusto e formazione negli Usa, in gioventù sia Doria Medina che Quiroga furono ministri nel 1991di Jaime Paz Zamora per poi seguire carriere parallele tra impresa e politica, cumulando però cinque sconfitte presidenziali, sempre contro Evo Morales. Il litio e il patto con la Cina, così la Bolivia spaventa gli Usa Samuel Doria Medina, 66 anni, tiene a specificare che non sia da considerare un candidato di centro-sinistra. Ciò, nonostante il suo movimento discenda dal Mir, Movimento Sinistra Rivoluzionaria, e sia formalmente parte dell’Internazionale Socialista, perché «il mio movimento era vicino all’Internazionale Socialista al tempo di Felipe González. Oggi – guardando alla politica spagnola, come dichiarava lui stesso in un convegno lo scorso giugno a Siviglia – mi definirei piuttosto del Partito Popolare». Come tutte le destre ha partecipato al golpe del 2019, e nel 2020 era addirittura candidato alla vicepresidenza in coppia con la dittatrice Jeanine Áñez, prima di ritirare la candidatura. Jorge Quiroga, 64 anni, meglio noto come Tuto Quiroga, ha migliorato il suo spagnolo con accento statunitense da quando divenne vice dell’ex-dittatore Hugo Banzer nel 1997, e poi gli subentrò come presidente dal 2001 al 2002. Dopo lunghe trattative con Doria Medina, hanno optato per misurare le rispettive ambizioni, candidandosi separatamente. A voler misurare le differenze, Quiroga, anch’egli sconfitto due volte da Evo Morales, prova a configurarsi ancora più a destra di Doria Medina e ha appena fondato la coalizione “Libertà e Repubblica”, per strizzare l’occhio, col suo vice Velasco, al presidente argentino Javier Milei e, di conseguenza al mondo trumpiano. Anti-casta dopo 40 anni in politica? Crisi economica e politica. La cornice del goffo golpe boliviano All’origine del disastro del Mas Come si possa passare dai successi economici, sociali, culturali dei primi anni di Evo Morales all’ottimo 55 per cento di Luís Arce nel 2020 alla situazione attuale della sinistra boliviana è difficile da comprendere. Detto del deteriorarsi della situazione economica, della quale è ragionevole incolpare chi siede alla presidenza della Repubblica, almeno dal 2022 Morales e Arce hanno ingaggiato una battaglia a morte nella quale l’obiettivo del primo – non rieleggibile – era tornare al potere, e l’obiettivo del secondo impedirglielo. Accusato di una infinità di crimini, che includono anche la pedofilia, Morales esagera nell’autoattribuirsi ancora un 30 per cento di aspettativa di voto, ma è vero che il 65enne leader, soprattutto in zona andina e nel nord cocalero è ancora quello più capace di mobilitazione popolare. Di sicuro quel 7-10 per cento attribuito alla campagna per il “voto nullo”, pare avere affossato le speranze del presidente del Senato Andrónico Rodríguez, 36 anni, che fino a poche settimane fa sembrava l’ultima speranza per il Mas almeno di ballottaggio.