Il volo che porterà papa Francesco a Ulan Bator, capitale della Mongolia giovedì 31 agosto, sorvolerà per un tratto anche la Cina. Il che darà l’opportunità al Pontefice di inviare un telegramma di saluto al presidente cinese Xi Jinping, come avviene tradizionalmente per tutti i capi di stato dei paesi dei quali il volo papale attraversa lo spazio aereo; non sarà certo come aver messo piede in Cina, ma di fatto è un piccolo passo verso quell’incontro con il grande paese asiatico al centro delle aspirazioni del papa e della diplomazia vaticana.

Forse dunque non è casuale che lo scorso 28 agosto, il vescovo di Pechino, Giuseppe Li Shan, ha rivolto una preghiera al Signore in favore dell’instaurazione, «al più presto», di relazioni diplomatiche regolari fra Santa Sede e Repubblica popolare cinese, come riportato dall’agenzia stampa vaticana Fides.

La strada per Pechino

Il tema del rapporto con la Cina, del resto, è particolarmente presente alla vigilia della trasferta mongola del papa, tanto da essere evocata dal Segretario di Stato, card. Pietro Parolin, in un’intervista sull’Osservatore romano: «Tutti conoscono l’interesse che Papa Francesco porta per la Cina», ha detto il cardinale, quindi in merito a una possibile visita di Francesco a Pechino, ha aggiunto: «posso dire che c’è nel cuore del Santo Padre questo grande desiderio, un desiderio del tutto comprensibile che egli ha manifestato già più volte pubblicamente, di recarsi in quel nobile paese, sia per visitare la comunità cattolica ed incoraggiarla nel cammino della fede e dell’unità, sia per incontrare le autorità politiche, con le quali la Santa Sede ha stabilito da tempo un dialogo, nella fiducia che, nonostante le difficoltà e gli ostacoli che ci sono nel cammino, proprio per questa via del dialogo e dell’incontro, più che per quella dello scontro ideologico, si possano raggiungere frutti di bene per tutti».

Parolin, dunque, conferma questa sorta di nuova ostpolitik vaticana nei confronti della Cina comunista dal volto imperiale così marcato, capace di spingere il tallone di ferro della repressione su Hong Kong e di minacciare militarmente Taiwan.

Pechino, dal canto suo, non ha esaurito del tutto le diffidenze verso un Chiesa cattolica giudicata in passato alla stregua di un cavallo di Troia dell’occidente, uno strumento subdolo del colonialismo europeo. In tal senso l’accordo per la nomina condivisa fra Santa Sede e autorità di Pechino dei vescovi cinesi, in vigore dal 2018 e prorogato di biennio in biennio, costituisce un banco di prova per entrambe le parti, considerate anche le difficoltà che incontra una sua completa applicazione.

Nello stesso quadrante geografico, tuttavia, proprio Parolin sta facendo progredire le relazioni diplomatiche con li Vietnam, segno di un investimento di ungo periodo della Santa Sede sulla regione.

Il buddismo e la guerra

Quello in Mongolia è il 43esimo viaggio di papa Francesco (61 sono con quest’ultimo gli stati visitati dal pontefice). Particolarmente lunghi e impegnativi i voli sulla tratta di circa 8.280 km tra Roma e Ulan Bator: 9 ore e mezza all'andata, 11 ore e 20 al ritorno. Sei le ore di fuso orario.

Il programma prevede incontri politico-istituzionali, pastorali con la piccola comunità cattolica locale (circa 1500 fedeli), e interreligiosi. Cinque i discorsi che saranno pronunciati dal pontefice, tutti in italiano, nei quattro giorni di permanenza in Mongolia, mentre i primi due giorni, anche per non affaticare troppo il papa, saranno dedicati esclusivamente al viaggio aereo e all'accoglienza ufficiale.

In ogni caso non sfugge l’importanza di questa visita nel cuore dell’Asia in un Paese che per posizione geografica e vicende geopolitiche si trova al centro delle relazioni fra Russia e Cina.

E in effetti, se da una parte la Mongolia rientra in quell’idea di periferie del mondo cui il papa ha deciso di dedicare grande attenzione pastorale e strategica rispetto al futuro del cattolicesimo, se il paese riveste anche una sua importanza in riferimento alla tradizione religiosa del buddismo, l’aspetto politico del viaggio ha pure il suo peso.

Se per un certo verso si guarda a Pechino allora, dall’altro l’attenzione va a Mosca; con la Russia infatti la Mongolia ha sempre mantenuto una relazione stretta, prima nei decenni dell’Unione sovietica, e di nuovo di recente le relazioni hanno ripreso vigore pure per controbilanciare il peso specifico crescente che sta assumendo Pechino in quell’area del mondo.

E del resto, il conflitto in corso in Ucraina, sarà inevitabilmente sullo sfondo del viaggio. Non solo per le ultime polemiche che hanno accompagnato le parole del papa sulla tradizione russa legata agli zar Pietro il grande e Caterina II pronunciate durante un discorso con i giovani cattolici russi, ma anche perché Francesco, in un contesto ufficiale lontano dall’Europa ma non dai protagonisti diretti e indiretti del conflitto, avrà modo di promuovere la sua idea di pace.

Vedremo allora se resterà sul piano delle affermazioni generiche, delle buone intenzioni, o se, come ha detto il suo Segretario di Stato: «Questa visita porta in sé il richiamo al rispetto di ogni paese, piccolo o grande che sia, all’osservanza del diritto internazionale, alla rinuncia del principio della forza per regolare le controversie, alla costruzione di rapporti di collaborazione, di solidarietà e di fraternità fra vicini e con tutti i Paesi del mondo». 

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