In un’Italia sempre più plurale, la geografia scolastica resta legata al modello dello stato-nazione. Ma il mondo è cambiato, e la mappa va aggiornata: serve un sapere capace di leggere fuori dai confini
Di recente il ministro Valditara ha affermato che «non si può essere cittadini italiani se non si sa situare il fiume Po o il monte Bianco». Dipende. Il problema mi pare sia in qualche maniera opposto: situare piuttosto il monte Demavend o il fiume Amu Daria, per dire, e insegnarlo a fare nelle nostre scuole, perché é proprio nelle nostre aule scolastiche, sempre più animate da scolari asiatici, che il bisogno s’avverte. E ogni giorno che passa s’avverte in misura maggiore. Ancora più interessante sarebbe chiedere a tutti i cittadini italiani di indicare sulla carta geografica il fiume più lungo e il monte più alto della Terra. Per non dire dei laghi. Ne verrebbero fuori di certo delle belle.
A dispetto della globalizzazione in atto, l’ambito della riproduzione della vita sociale di base è ancora agganciato al quadro statal-nazionale. Al contrario però di quel che a scuola ci hanno insegnato, una mappa di un qualsiasi stato non è la copia di esso, ma è vero invece l’esatto contrario: è lo stato moderno centralizzato, come lo chiamava Carl Schmitt, ad essere stato concepito come la copia di una mappa, di cui ha assunto forma e natura, e il territorio (parola che non deriva da terra ma da terrore) dello stato deve possedere le caratteristiche di ogni mappa, pena l’inesistenza dello stato stesso.
Il territorio statale deve essere cioè continuo vale a dire tutto d’un pezzo. Deve inoltre essere omogeneo, popolato cioè da soggetti che condividono teoricamente la medesima capacità di manipolazione simbolica, espressa da indici immediati come la lingua e la religione. Infine ogni territorio statale dev’essere isotropico, cioè funzionalmente voltato verso un’unica direzione: quella della capitale, che di solito è al centro geometrico della costruzione.
Anche in questo caso le pochissime eccezioni a tali regole non fanno altro che confermarne il rigore. E l’omogeneità, la continuità e l’isotropismo sono le proprietà che determinano per Euclide la natura geometrica dell’estensione.
L’insieme dei processi sbrigativamente riassunti sotto il nome collettivo di globalizzazione segnano ormai da qualche decennio la crisi di tale modello, ma soltanto perché costituiscono un livello superiore di riorganizzazione dei suoi componenti, anche se non delle sue forme.
Ecco perché la situazione del Po e del monte Bianco restano importanti. Il loro ruolo è stato decisivo nella produzione dell’immagine e della struttura dello stato centralizzato italiano all’atto della sua costituzione storica, al tempo della prima ricognizione e costituzione ottocentesche del territorio nazionale. Ma al tempo della prima ricognizione globale, come quella che oggi il funzionamento del mondo impone agli stati stessi, tali riferimenti non bastano più.
Sotto tal profilo le parole del ministro rivelano una necessità essenziale ed urgente: quella di risignificare gli elementi essenziali della geografia del nostro Paese in funzione dello scenario globale e della nuova domanda di sapere geografico che la sua mutazione comporta.
Insomma: la necessità di una nuova geografia, rispettosa al tempo stesso del nuovo funzionamento del mondo e della geografia del nostro Paese.
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