Come se la parte più difficile dei mondiali di calcio più contestati arrivasse adesso. E consistesse in un’opera di auto-convincimento, nello sforzo di persuadere sé stessi che la scelta di essere Qatar 2022 sia cosa buona e giusta, dopo aver provato per 12 anni a persuadere il resto del mondo che di Qatar 2022 ci si può fidare.

Leggendo via web le testate giornalistiche qatariote si scopre uno psicodramma tutto comunicativo, che rischia di costare uno sforzo logorante molto più di quelli compiuti sul piano economico e su quello politico per portare la competizione di portata globale in un emirato grande poco più dell’Abruzzo. Sia i quotidiani in lingua araba, come Al-Rayiah o Al-Wathan, sia quelli in lingua inglese come Gulf Times, o Qatar Tribune, o The Peninsula, sono tesi a tratteggiare un racconto del mondiale di casa che sembra una versione aggiornata del Truman Show.

Una bolla narrativa per la cui edificazione i media locali sono volenterosi manovali, ma dove non si capisce chi sia il destinatario della finzione organizzata, il soggetto incapsulato e inconsapevole cui si deve rappresentare la realtà per come è necessario gli appaia. E chi mai dovrebbe essere fatto convinto che questo mondiale sia il migliore di sempre, che marcherà un punto di svolta non soltanto per l’emirato ma per l’intero mondo arabo, e che i reportage negativi della stampa estera sono soltanto frutto di meschinità e malafede?

Il mondiale più bello dell’universo

(AP Photo/Martin Meissner)

Difficile rispondere a questo interrogativo. Il Qatar è popolato da nemmeno 3 milioni di abitanti, ma soltanto il 15 per cento è costituito da qatarioti nativi. Il restante 85 per cento è formato da lavoratori stranieri, in massima parte sfruttati e fatti oggetto di ogni vessazione. Persino sloggiati dalle loro abitazioni nel centro di Doha per fare posto ai turisti del mondiale, pronti a pagare fra i 240 e i 450 dollari a notte per un alloggio. È successo a fine ottobre, come raccontato da Reuters, e agli sfrattati sono state date soltanto due ore di preavviso per raccattare tutti i loro averi e levarsi dai piedi. Cosa volete che conti per loro il racconto dei mondiali di Bengodi, nel paese che come un calabrone ricoperto d’oro non avrebbe potuto volare ma infine lo ha fatto perché gli hanno portato il cielo rasoterra?

Questa rappresentazione illusoria non serve nemmeno ai circa 300mila qatarioti veri e puri, che nel loro piccolo sono in buona parte disinteressati al mondiale di casa. In fondo, la grande kermesse calcistica è soltanto parte del vasto e tumultuoso processo di modernizzazione economica e strutturale dell’emirato, cui corrispondono minimi progressi sul piano della qualità democratica delle istituzioni statali e dei diritti della persona. Dal loro punto di vista, il migliore dei mondi esiste già: quello in cui vivono indisturbati e privilegiati. Il migliore dei ondiali è un altro pezzo di argenteria cui bisognerà cercare una nuova stanza da arredare perché torni utile.

E se infine c’è da convincere l’opinione pubblica estera, allora la battaglia è già persa. Perché basta veder passare una scena come quella di qualche giorno fa sul secondo canale della tv danese, con l’inviato a Doha stoppato in diretta dalla security locale e minacciato di avere fracassata la telecamera, per capire che quella è una partita da perdere per rinuncia. Inutile presentarsi sul campo, meglio lo 0-3 a tavolino.

Eppure i media qatarioti insistono. Raccontano di un mondiale meraviglioso che si gioca in un paese bellissimo, invidiato dal resto del mondo e capace di resistere alla malafede dei critici. Tocca tenere botta. E forse un giorno verrà spiegato loro perché e per chi hanno dovuto fare tutto questo. Per adesso devono registrare i complimenti di Vladimir Putin all’emiro Al Thani per l’organizzazione dei mondiali. Di questi tempi il peggiore degli endorsement, ma bisogna farlo sembrare buona cosa.

Premesso che sono gay

La conferenza stampa della Fifa (Foto Robert Michael/picture-alliance/dpa/AP Images)

Chi invece sta facendo un gelido bagno di realtà è il presidente della Fifa, l’avvocato italo-svizzero Gianni Infantino. Gli tocca difendere i mondiali nell’emirato, per dovere sia d’ufficio sia di soggiorno. Da qualche mese ha trasferito la residenza sua e della famiglia in Qatar. E non è dato sapere se in questa scelta c’entri qualcosa l’inchiesta della magistratura svizzera riguardo ai suoi incontri segreti con l’ex procuratore generale elvetico Michael Lauber, il magistrato dell’inchiesta sullo scandalo Fifa del 2015.

Nella conferenza stampa del giorno prima dell’inaugurazione, Infantino era nervosissimo. Magari anche perché si sarà sorbito il cazziatone dello sponsor Budweiser, la marca di birra che versa 75 milioni di dollari ogni quadriennio per vedersi cacciato dalla scena in Qatar. Infantino se l’è presa con tutti perché non poteva prendersela col Qatar dove fa l’asylanten di lusso. E quanto ai problemi per i soggetti Lgbt, ha provveduto il suo portavoce Bryan Swanson a piazzare il colpo di teatro.

Swanson era accanto al presidente durante la conferenza stampa e ne ha approfittato per rivelare che lui è gay ma nonostante ciò non sta avendo problemi in Qatar. Un passaggio che un po’ ha ricordato il preambolo “premesso che ho molti amici gay”, ma che poco risolve. Perché per i soggetti come Swanson, indipendentemente dall’orientamento sessuale, in Qatar non vi saranno mai problemi. Ma il portavoce Fifa provi almeno per un giorno a essere un gay qatariota. Poi magari torni a raccontarci come se l’è passata.

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