Un tribunale britannico ha rifiutato di liberare su cauzione il fondatore di Wikileaks, Julian Assange detenuto dal 2019 in un carcere di Londra. La decisione è stata presa dallo stesso giudice che aveva deciso il 4 gennaio di rifiutare la richiesta di estradizione che gli Stati Uniti hanno lanciato da tempo nei confronti dell’australiano accusato di avere violato i database delle istituzioni di Washington per avere accesso ad alcuni documenti top secret sulle missioni militari statunitensi all’estero. La sentenza del 4 gennaio aveva rigettato anche le motivazioni della difesa.

Cos’è il caso Assange

Nato nel 1971 in Australia, Assange è il fondatore di Wikileaks, un’organizzazione volta a raccogliere le rivelazioni dei documenti di diversi governi e istituzioni mondiali. Il 49enne è stato accusato nel 2010 dalle autorità americane di avere compiuto attacchi hacker contro il governo. L’accusa è arrivata dopo la pubblicazione di 500mila documenti riservati che rivelavano le uccisioni di civili e giornalisti perpetrate dai militari americani in Iraq e Afghanistan. Accusato dai critici di essere una spia russa e osannato dai supporters come un simbolo della libertà di stampa, Assange si era dapprima rifugiato nell’ambasciata ecuadoregna nel Regno Unito dove era poi stato arrestato dalla polizia britannica. 

Cosa succede ora?

Subito dopo l’esito della sentenza che ha negato l’estradizione di Assange, i legali degli Stati Uniti hanno detto di volere presentare entro due settimane un nuovo ricorso per provare nuovamente a portare il giornalista a Washington. Nel frattempo, il governo australiano ha dato segnali contrastanti. Se da una parte, il primo ministro Scott Morrison ha detto che Assange potrà tranquillamente tornare nel paese natìo una volta finito il processo, lo stesso premier ha recentemente detto di non volere chiedere alle autorità americane di eliminare le accuse contro il fondatore di Wikileaks. Il caso Assange è quindi destinato a diventare un’altra patata bollente per il neo eletto presidente americano, Joe Biden, che dovrà decidere se graziare o meno il giornalista. 

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