Le prime Dichiarazioni conclusive del G7, rese già note ai media, hanno riguardato la guerra in Ucraina e le minacce alla sicurezza nell’Indo-pacifico. Stavolta non è stato usato il rituale linguaggio della diplomazia: in luogo delle esortazioni e dei richiami assertivi, seppure sotto il profilo del rispetto del diritto internazionale le formule adoperate sono condanne senza appello, intimazioni precise più che inviti o auspici.

I leader del G7 hanno voluto ribadire che la loro posizione è fortemente unitaria e decisa, sia sulla guerra in Ucraina, sia sulle vicende dell’Indo-pacifico, dove sono in gioco l’indipendenza di Taiwan e la libertà dell’alto mare, nonché la sicurezza degli altri Paesi dell’area.

Entrambi gli scenari riconducono in ogni caso alla decisa affermazione di un ordine internazionale fondato sui principi dell’ international law, e in particolare della Carta delle Nazioni Unite nella quale si stabilisce principalmente che la risoluzione delle controversie deve compiersi solo con mezzi pacifici.

Da foro informale di cooperazione soprattutto economica sorto nel 1975 tra i paesi più industrializzati del mondo (Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Gran Bretagna, Usa), il G7 è assurto negli ultimi anni a foro geopolitico più generale della cooperazione internazionale delle grandi democrazie.

Un passaggio fondamentale della sua evoluzione si è avuto quando è divenuto G8 includendo una Russia diversa del 1999, ma nel 2014 è ritornato nella sua conformazione originaria dopo che Mosca aveva occupato la Crimea iniziando la tragica deriva verso l’autocrazia e l’isolamento internazionale. Oggi il G7 ha voluto dire la sua in maniera ancora più netta, perché è stato chiamato in causa dalla «sfida sistemica» che Russia e Cina hanno esplicitamente intrapreso contro l’«occidente collettivo».

La sfida riguarda la leadership sul resto del mondo, in particolare su quel più volte evocato Sud globale dove i disegni egemonici di Pechino e Mosca mirano sempre di più a sfruttare i mai sopiti sentimenti anti-coloniali, la dipendenza economica e l’insicurezza regionale: ne sono esempio i tentacoli invasivi della Via della seta, che ha già indotto molti paesi africani e del Sudamerica nella "trappola del debito", e le minacciose interferenze economico-militari delle milizie russe della Wagner, che sfruttando i conflitti locali condizionano i governi africani più deboli, e lucrano sulla gestione delle miniere e sul controllo dei traffici illegali

Modi, Lula e Zelensky

La scelta del G7 di Hiroshima anche in questa occasione è stata rivolta a rimarcare in ogni caso che non si tratta di un «club chiuso» quanto ai partecipanti o ai temi trattati. Questi hanno riguardato le principali tematiche che oggi vanno ad incidere in ogni caso sui rapporti multilaterali fra Stati e sulla sicurezza globale.

Alle sessioni di lavoro hanno quindi partecipato anche i leader di altri paesi non appartenenti al G7 e di organizzazioni internazionali, per discutere sui temi della proliferazione nucleare, del cambiamento climatico, dell’ IA, della povertà, dell’alimentazione e della instabilità economica.

Tra i paesi non facenti parte del G7 sono dunque apparsi i leader di India, Brasile, Corea del Sud, Australia, Vietnam, Indonesia, Comore e Isole Cook. Tra le presenze più significative c’è stata anche quella dell’ultimo momento del presidente Zelensky, di cui inizialmente era stato annunciato solo un collegamento in video-conferenza.

E ciò ha avuto un risvolto particolare perché per la prima volta il leader ucraino, reduce peraltro da un altro importante incontro con i Paesi della Lega Araba, si è potuto confrontare con Modi e Lula, i capi dei governi di India e Brasile che notoriamente non hanno ancora assunto una posizione netta in favore dell’ Ucraina, e non hanno aderito al sistema delle sanzioni e alle risoluzioni di condanna delle Nazioni Unite contro la Russia.

Una prima eloquente presa di posizione è venuta dal primo ministro indiano Narendra Modi che al presidente Zelensky ha detto: «Comprendo pienamente la sua sofferenza e quella del popolo ucraino. Posso assicurare che l’India e io personalmente faremo tutto il possibile per trovare una soluzione alla guerra in Ucraina».

Su questi scenari dunque le Dichiarazioni di Hiroshima tracciano un solco netto sulle posizioni della «Lega delle democrazie», per le quali la pace e la sicurezza globale rimangono obiettivi centrali per un ordine internazionale ancora fondato sul multilateralismo, e per questo non c’è che una prima strada da percorrere: porre fine alla guerra in Ucraina e alle minacce nell’Indo-pacifico.

La dichiarazione sull’Ucraina

Nella Dichiarazione sull’Ucraina, articolata su 11 paragrafi, sono diversi i passaggi-chiave che delineano gli intendimenti dei leader del G7. Nel Preambolo si riafferma il comune impegno ad essere uniti e nel condannare una «guerra di aggressione illegale, ingiustificabile e non provocata», la cui unica responsabilità è riconducibile alla Russia.

È Mosca che ha manifestamente violato la Carta delle Nazioni Unite e ha causato l’impatto di una guerra devastante sul resto del mondo, in particolare sul popolo ucraino e sui Paesi più fragili. L’impegno comune è dunque per altre misure ancora più incisive, per «garantire che l’aggressione illegale della Russia contro la sovranità dell’Ucraina fallisca» e per «sostenere il popolo ucraino nella sua ricerca di una pace giusta, fondata sul rispetto del diritto internazionale».

Da qui la rassicurazione per il popolo ucraino che il sostegno umanitario, militare e diplomatico durerà «per tutto il tempo necessario». Il paragrafo più indicativo è il secondo intitolato "Verso una pace globale, giusta e duratura in Ucraina". La Russia viene qui "esortata" a fermare la guerra di aggressione «immediatamente, completamente e incondizionatamente», e quindi a «ritirare le sue truppe e i mezzi militari dall’intero territorio internazionalmente riconosciuto dell’Ucraina».

Viene ribadito che una pace giusta non può essere realizzata «senza il ritiro completo e incondizionato delle truppe e dei mezzi militari russi e questo deve essere incluso in qualsiasi appello per la pace».

Sono poi giudicate irresponsabili, pericolose e inaccettabili le scelte compiute della Russia sulla retorica nucleare, sull’ indebolimento dei regimi di controllo degli armamenti e sulle dichiarazioni di dispiegare armi nucleari in Bielorussia. Per i negoziati per la pace da un lato si richiama la risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite adottata nel febbraio di quest’ anno, dall’altro si dichiara l’impegno diplomatico a sostenere i principi di base, in linea con la Carta delle Nazioni Unite, della proposta di "pace in 10 punti" di Zelensky.

Indo-pacifico

Sull’altro fronte della sfida egemonica della Cina, due sono al momento gli input del comunicato ufficiale del vertice di Hiroshima.

Per la resilienza e la sicurezza economica il G7 non perseguirà con i suoi partner globali una politica di decoupling (il "disaccoppiamento", per bloccare l’interazione economica con la Cina), ma in ogni caso punterà sul derisking, ovvero sulla riduzione del rischio per attenuare gli effetti di quella che è stata definita la «coercizione economica» di Pechino sulle catene di valore.

La linea inoltre è nel ribadire «l’ importanza di un Indo-Pacifico libero e aperto», che risulti «inclusivo, prospero, sicuro, basato sullo Stato di diritto» e che sia protetto da principi condivisi, «compresi la sovranità, l’ integrità territoriale, la risoluzione pacifica delle controversie, le libertà fondamentali e i diritti umani». Più chiaro di così non si poteva dunque anche sulla questione di Taiwan e sulle libertà dell’area, dove Pechino si ostina nelle sue pretese sul Mar Cinese.

Sud del mondo

Le Dichiarazioni del G7 di Hiroshima, non a caso ricordata come città "simbolo della pace", in conclusione sono incentrate a richiamare la volontà di opporsi fermamente a qualsiasi «tentativo unilaterale di modificare con la forza o la coercizione lo status pacificamente stabilito di territori, in qualsiasi parte del mondo».

Per le democrazie del G7 dunque la strada è continuare a sostenere «i diritti umani universali, la parità di genere e la dignità umana», e ribadire l’ importanza del multilateralismo, dove è centrale il ruolo delle Nazioni Unite, per promuovere la pace, la stabilità e la prosperità.

Con buona pace di Putin e Xi Jinping, e degli altri incerti autocrati che li circondano, è ancora sul terreno del diritto internazionale che dovrà giocarsi la partita di un multilateralismo che non voglia risultare solo uno slogan: al Sud del mondo non resta che aprire gli occhi su questa prospettiva.

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