Il socialismo riparte da Gaza, o perlomeno il premier socialista spagnolo Pedro Sánchez è partito per il suo tour pro Palestina.

L’obiettivo è rinsaldare e ampliare una alleanza tra leader europei per «riconoscere la Palestina come stato» spostando gli equilibri interni all’Ue sul tema.

Per riuscirci è importante anche l’ultimo dei primi ministri – cioè quello di più recente nomina – come l’irlandese Simon Harris: ha da poco rimpiazzato Leo Varadkar, che già spingeva con Sánchez per fermare il massacro in corso a Gaza.

La Spagna come apripista

I socialisti spagnoli – a cominciare dall’Alto rappresentante Ue Josep Borrell – da mesi provano a riequilibrare la politica di Bruxelles riguardo alla guerra in Medio Oriente. Era stata subito caratterizzata dalle prese di posizione pro Netanyahu della presidente di Commissione Ue, Ursula von der Leyen, e dalle divisioni interne.

Sánchez era riuscito a far inserire nelle conclusioni del Consiglio europeo la sua idea di promuovere una conferenza di pace, ma per mesi – tra fine 2023 e inizio 2024 – i governi europei si erano mossi in ordine sparso, come emergeva dai voti in sede Onu.

L’ultimo Consiglio europeo è stato caratterizzato da uno slittamento nella direzione spagnola: la scelta degli stessi Stati Uniti – che fino a quel momento avevano votato contro le risoluzioni Onu per il cessate il fuoco – di smuovere la propria posizione in sede di Nazioni unite aveva avuto un effetto domino anche su governi europei prima schierati nettamente con il governo israeliano. A marzo, gli Usa avevano fatto loro «il cessate il fuoco immediato e prolungato», Giorgia Meloni aveva espresso «preoccupazione per un intervento di Israele a Rafah» e pure i più falchi dell’Ue cominciavano a far fatica a gestire gli imbarazzi per le mosse del governo israeliano.

Dopo l’uccisione da parte dell’esercito israeliano di alcuni operatori umanitari anche europei, premier come il polacco Donald Tusk avevano ammesso che «il governo israeliano sta mettendo la nostra solidarietà a dura prova».

Il tour europeo di Sánchez

In questo contesto si inserisce l’operazione di Sánchez. A novembre si era recato a Gaza con Alexander De Croo. Già allora il premier belga riteneva che la situazione fosse «andata troppo oltre» e che quel che accadeva a Gaza non fosse «proporzionato». I due, che simboleggiavano la presidenza Ue di turno agli sgoccioli (Spagna) e quella in procinto di iniziare (Belgio, tuttora in carica), invocavano una de-escalation.

Oggi la situazione è politicamente più matura. Il premier spagnolo si è detto pronto a riconoscere entro luglio la Palestina come stato, e vuol persuadere altri leader europei a fare altrettanto. La prossima settimana si tiene un Consiglio europeo, ma Sánchez non perde tempo. Questo venerdì è stato in Norvegia, che non fa parte dell’Ue ma il cui premier Jonas Gahr Støre si è detto d’accordo sul riconoscimento della Palestina.

Ci sono «segnali chiari che l’Europa è pronta», ha detto il socialista spagnolo. Entusiasmo che non troverebbe fondamento senza un nocciolo di paesi che già da mesi sono sintonizzati sulla sua lunghezza d’onda. L’Irlanda è tra questi; con la Spagna aveva già chiesto di rivedere l’accordo tra Ue e Israele.

Ora che Leo Varadkar – tra i più espliciti critici della linea tenuta da von der Leyen sul dossier mediorientale – ha lasciato la premiership, il suo successore Simon Harris ne raccoglie l’eredità. «Sotto la mia leadership continueremo a denunciare senza paura le atrocità in corso a Gaza», ha detto. E questo venerdì sera ha accolto a braccia aperte Sánchez nella tappa dublinese del suo tour.

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