La Guida suprema Ali Khamenei minaccia «conseguenze irreversibili» in caso di un intervento diretto americano. Macron propone un’iniziativa con i partner europei «per una soluzione diplomatica». E l’Iran lancia missili ipersonici. Il capo dell’Aiea, Rafael Grossi, ha smontato la narrativa del governo israeliano: «Non possiamo affermare che al momento in Iran ci sia uno sforzo sistematico per produrre un'arma nucleare»
Le prossime ore saranno decisive per capire che forma assumerà il conflitto tra Israele e l’Iran. Dipenderà in gran parte dalle scelte che prenderà il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, alla Casa Bianca. Per il momento sembrerebbe non avere idee chiare: di fronte ai giornalisti ieri ha mantenuto un atteggiamento ambiguo. Da una parte ha annunciato che Teheran ha avviato i contatti e «vuole negoziare» perché «ha molti problemi». Poi ha detto «ne ho abbastanza», ha chiesto una «resa incondizionata» dell’Iran, e ha lanciato «un ultimatum definitivo». Il tycoon è stato anche confusionario sulle indiscrezioni secondo cui starebbe pensando a un intervento diretto in guerra dell’esercito statunitense.
«Potrei come non potrei attaccare», ha detto. Ha riferito anche di aver avuto un colloquio con il premier israeliano Benjamin Netanyahu: «Gli ho detto, vai avanti, io parlo con lui ogni giorno, è una brava persona, sta facendo molto». E su Vladimir Putin ha confermato che si è offerto come mediatore tra le parti ma ha risposto che per il momento è meglio se faccia un passo indietro. Troppo forti le pressioni dell’Unione europea che ha subito bocciato l’ipotesi di far diventare Putin l’uomo delle trattative.
Si è fatto avanti, invece, il presidente francese Emmanuel Macron che ha intenzione di «proporre una soluzione negoziata esigente» insieme ai partner europei e ha chiesto a Israele di fermare i raid sugli obiettivi non legati al programma nucleare iraniano. I piani del presidente Usa, però, possono essere riassumibili in una delle tanti dichiarazioni rilasciate ieri ai giornalisti: «Nessuno sa cosa farò». Una cosa è certa: l’esercito è pronto per essere mobilitato, come ha confermato ieri il segretario della Difesa americano, Peter Hegseth. Intanto il capo dell’Aiea, Rafael Grossi, ha smontato la narrativa del governo israeliano: «Non possiamo affermare che al momento in Iran ci sia uno sforzo sistematico per produrre un'arma nucleare».
Il discorso di Khamenei
In mattinata la Guida suprema iraniana Alì Khamenei ha minacciato «conseguenze irreversibili» in caso di un intervento diretto americano. «Le nostre forze armate sono pronte a difendere la patria con il sostegno delle autorità e di tutto il popolo», ha detto Khamenei promettendo vendetta per i «martiri» uccisi. L’Iran «resisterà fermamente contro una guerra imposta, così come resisterà fermamente contro una pace imposta», ha aggiunto. E ieri, infatti, i Pasdaran hanno annunciato di aver inviato contro Israele i missili ipersonici Fattah-1.
Nel pomeriggio si è diffusa la notizia di tre aerei partiti da Teheran e atterrati in Oman. C’è chi ha ipotizzato che siano vertici militari in fuga e chi funzionari inviati da Teheran per le trattative. Ma il ministro degli Esteri iraniano ha smentito di aver inviato un team negoziale.
Quali scenari
A quasi una settimana di distanza dall’inizio dell’operazione “Rising Lion”, gli scenari in campo diventano sempre più chiari. Da una parte c’è il regime degli ayatollah che ha subito un duro colpo non soltanto a livello di infrastrutture e forniture belliche prese di mira dai raid israeliani, ma anche per quanto riguarda la decapitazione dei suoi vertici militari più importanti.
Dall’altra c’è lo Stato ebraico, che nella storia recente non ha mai visto una quantità simile di missili colpire le sue città. Su 400 missili lanciati dall’Iran, infatti, 40 sono quelli arrivati a destinazione. A questo si somma un secondo livello, quello delle vittime civili. Secondo la ong con sede a Washington Human rights activistis gli attacchi israeliani avrebbero provocato finora almeno 585 morti e 1.326 feriti in Iran.
Di questi, almeno 239 sono civili e 126 appartenenti alle forze di sicurezza. In Israele, invece, si contano almeno 24 persone e più di 500 sono rimaste ferite. Numeri senza paragoni, a testimonianza del divario militare tra i due paesi in questa fase della guerra. Anche per questo motivo Teheran vorrebbe trattare. Resta da capire quanto Israele sia disposta a sedersi al tavolo delle trattative. Per il momento ha tutti gli alleati occidentali dalla sua parte, anche i leader europei, come confermano le dichiarazioni del cancelliere tedesco Friedrich Merz. In un gesto estremo di Realpolitik ha detto ciò che altri suoi omologhi non hanno avuto il coraggio di dire: «Israele sta facendo il gioco sporco per tutti».
L’altro motivo che potrebbe spingere il premier Netanyahu a continuare la guerra è di natura mediatica. Aver compattato dalla sua parte gli alleati permette all’esercito israeliano di continuare indisturbato a operare nella Striscia di Gaza, dove ieri sono stati uccisi almeno altri 33 palestinesi, e a tenere lontano dall’attenzione pubblica interna il fallimento nel riportare a casa gli ostaggi israeliani ancora imprigionati nelle mani di Hamas.
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