Pechino vuole che l'amministrazione Trump vari alcune misure prima di accettare il negoziato commerciale. L’agenzia di rating taglia le stime del mondo: il Pil globale aumenterà meno del 2 per cento. Le Borse europee proseguono moderatamente positive (salvo Parigi), in scia ai cali registrati in Asia mentre Wall Street ha aperto in rosso
La Cina (il vero obiettivo dei dazi americani) vuole che l’amministrazione Trump vari alcune misure prima di accettare il negoziato commerciale. Lo riporta la Bloomberg che indica tra le condizioni: «Più rispetto», nonché una posizione americana più coerente (Pechino parla di «numeri irrazionali» a proposito delle tariffe trumpiane), la volontà di affrontare i timori cinesi sulle sanzioni Usa e su Taiwan.
In più gli uomini di Xi Jinping chiedono che Washington nomini un responsabile per i colloqui che abbia il sostegno del tycoon e che contribuisca a stilare una bozza che Trump e Xi possano firmare quando si incontreranno.
La fermezza di Pechino
Pechino sottolinea che mentre Trump (il cui primo libro non a caso si intitolava L’arte dell’accordo) ha mostrato moderazione parlando in pubblico del rapporto personale e di amicizia con Xi, altre figure della sua amministrazione sono state aggressive.
La convinzione è che il tycoon abbia un controllo totale sui dazi: di conseguenza, nascono molti dubbi quando i funzionari americani rilasciano dichiarazioni pesanti sulla Cina e Trump non interviene. Nel mirino ci sarebbe il vicepresidente J.D. Vance (l’ideologo dei dazi e l’anti-multilateralista) per i giudizi sui «contadini cinesi», definiti la scorsa settimana «ignoranti e irrispettosi» dal portavoce del ministero degli Esteri cinese, Lin Jian.
Insomma, la Cina vuole essere sicura che Washington sia pronta ad affrontare alcune preoccupazioni della Cina, tra cui quella prevalente sugli Usa impegnati su politiche per contenere e reprimere la modernizzazione della Repubblica popolare tra l’inasprimento dei controlli sull’export nel tentativo di impedire a Pechino di ottenere chip avanzati.
Altro punto primario è Taiwan, che Pechino rivendica come suo territorio da riunificare anche con la forza, se necessario. La Cina, sarebbe la rassicurazione citata da Bloomberg, non intraprenderà azioni provocatorie verso l’isola ribelle, ma reagirà se provocata.
Oltre le aspettative
La Cina parla di una crescita superiore alle attese nel mezzo della guerra dei dazi con gli Stati Uniti che per ora non avrebbero fatto effetto.
Inoltre Pechino ha nominato un nuovo negoziatore per il commercio. I dati dell’Ufficio nazionale di statistica di Pechino dicono che l’economia cinese è cresciuta 5,4 per cento nel primo trimestre, rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, di fronte a previsioni del 5,1-5,2 per cento.
Va segnalato però che molti importatori hanno anticipato l’import per evitare i dazi, quindi il dato del secondo trimestre sarà più significativo per capire gli effetti dei dazi sulla crescita cinese.
«Severa escalation»
In tutto ciò, arriva la mazzata dell’agenzia di rating Fitch, che ha tagliato le stime di crescita mondiali «in risposta alla severa escalation delle guerra commerciale». L’economia globale crescerà quest’anno meno del 2 per cento, ovvero 0,4 punti percentuali in meno rispetto alle precedenti stime.
La crescita di Stati Uniti e Cina è stata tagliata di 0,5 punti a +1,2 per cento per gli Usa e a sotto il 4 per cento per la Cina. L’area euro crescerà meno dell’1 per cento. Fitch prevede che la Fed attenderà fino al quarto trimetre per tagliare i tassi di interesse. «L’indebolimento del dollaro ha creato più spazio per l’allentamento da parte delle altre banche centrali e ci aspettiamo tagli maggiori dalla Bce», ha spiegato l’agenzia.
Al Salone del risparmio in corso a Milano molti analisti hanno previsto un calo del dollaro per favorire l’export di beni americani e riequilibrare la bilancia commerciale Usa.
Secondo un report di Goldman Sachs «le eccezionali prospettive di rendimento degli asset statunitensi sono responsabili della forte valutazione del dollaro. Tuttavia, se i dazi incidono sui margini di profitto delle aziende statunitensi e sui redditi reali dei consumatori statunitensi, come riteniamo accadrà, possono erodere tale eccezionalità e, a loro volta, incrinare il pilastro centrale del dollaro forte».
Wall Street in rosso
Le Borse europee proseguono moderatamente positive (salvo Parigi), in scia ai cali registrati in Asia mentre Wall Street ha aperto in rosso, dimenticando il trend rialzista partito dal congelamento per 90 giorni ai dazi reciproci, annunciati da Trump lo scorso 2 aprile.
Gli investitori manifestano un sentimento negativo dopo le nuove previsioni di Nvidia che stima un costo di 5,5 miliardi di dollari nel primo trimestre a causa delle nuove restrizioni americane alle esportazioni dei suoi chip H20 in Cina. Intanto continua la corsa dell’oro, bene rifugio, con il contratto spot che ha superato per la prima volta i 3.300 dollari all’oncia.
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