Il vuoto lasciato da Trump nel mondo post-americano

Donald Trump si è chiaramente innervosito per la decisione di Benjamin Netanyahu di bombardare un quartiere di Doha, in Qatar, a caccia di leader di Hamas che si nascondono da quelle parti. È una decisione che «non fa avanzare gli interessi degli Stati Uniti né di Israele», ha scritto Trump sul social Truth. La cosa difficile da mandare giù per il presidente è che Netanyahu non ha nemmeno sentito il bisogno di avvertire. Il primo ministro sapeva che se lo avesse fatto gli americani avrebbero subito allertato l’alleato qatariota che il presidente tiene in gran conto – per la pace, dice lui, ma c’entrano molto di più gli affari che sta facendo la famiglia Trump da quelle parti – mettendo a repentaglio la missione. Meglio agire e giustificarsi dopo, come Netanyahu ha effettivamente fatto a bombardamento avvenuto. Il dato politico rilevante è che gli Stati Uniti sono sempre più spesso spettatori dei principali eventi che guidano la politica estera. Quando va bene, Trump viene informato a cose fatte e si lagna formalmente dell’esclusione, ma i suoi sforzi sono generalmente tesi ad affermare il disimpegno di Washington, che vorrebbe a parole guidare il mondo ma non è disposta a mettere il grado di coinvolgimento necessario per farlo. Il crocevia esistenziale dei democratici americani Trump è molto più interessato a condannare a morte «l’animale» che a Charlotte, in North Carolina, ha ucciso su un autobus «una bella e giovane donna ucraina, venuta in America in cerca di pace e sicurezza» che a prendere le difese della Polonia dopo la grave violazione dello spazio aereo da parte di una ventina di droni russi, alcuni dei quali sono stati abbattuti. La prima è una questione interna di criminalità e ordine pubblico, innervata di un sottotesto razziale (l’assassino è nero), mentre il secondo è uno scenario di crisi globale. Il governo polacco ha detto che dalla Seconda guerra mondiale il paese non è mai stato tanto vicino alla guerra e ha invocato l’articolo 4 del Trattato Nato, che prevede una convocazione formale dei membri dell’alleanza per valutare la situazione. Da quando a metà agosto in Alaska ha ottenuto la formale legittimazione del presidente americano, Vladimir Putin si è dedicato in modo sempre più spregiudicato e provocatorio al bombardamento dell’Ucraina, non limitandosi alla zone contese nella guerra di attrito ma colpendo deliberatamente obiettivi civili da Kiev a Kharkiv fino a Lviv, una strategia per fare un vanto della propria impunità e testare il limite della pazienza della superpotenza americana. Tutte le batoste che rendono Trump sempre più pericoloso Quel limite è evidentemente ancora lontano dall’essere raggiunto. Dalla Casa Bianca il presidente conduce la sua politica introflessa, pretende dagli alleati indipendenza, maggiori spese militari e acquisti di costosa energia e armi dagli Stati Uniti, mentre allo stesso tempo impone dazi con effetto punitivo. All’occasione lamenta che Putin, Xi Jinping e gli altri alleati dell’asse illiberale si trovano a cospirare ammirando i missili ipersonici che sfilano in piazza Tiananmen, ma poi tutto rientra e lui si concentra su altro. Anche il discorso sullo Stato dell’Unione della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, rientra in questo schema. Con una certa magniloquenza, paragonata al linguaggio burocratico standard di Bruxelles, von der Leyen ha parlato della lotta che l’Europa deve combattere, dell’assoluta necessità di conquistare un’indipendenza politica e militare in un mondo regolato dalla forza e si è avventurata perfino nella proposta di una parziale sospensione dei trattati commerciali con Israele. È un esercizio di equilibrismo retorico che non avrà conseguenze apprezzabili, ma è il segno che anche l’Unione europea parla apertamente di un Occidente post americano. Altre forze riempiono il vuoto che sta lasciando Trump.