Si tiene il 25 e 26  a San Pietroburgo il vertice Russia-Africa con la partecipazione di almeno una quarantina di delegazioni di stati africani, sui 54 riconosciuti alle Nazioni unite. Enfaticamente declamato come il secondo vertice del Forum economico e umanitario Russia-Africa, l’incontro segue il primo svoltosi il 23-24 ottobre 2019 a Sochi con lo slogan: «Per la pace, la sicurezza e lo sviluppo». Il programma è fitto di eventi: ci saranno il Festival della cultura e del cinema Africa-Insieme nel futuro, la mostra Pietroburgo-Africa. Allo zoo saranno presentati i “big five animals africani”, nel parco Primorsky si terrà una maratona e ci sarà una gara a tappe organizzata dalla Federazione ciclistica russa. Centrali saranno i panel su nucleare, ambiente, sviluppo, empowerment femminile e su “Nuovo ordine mondiale: dall’eredità del colonialismo alla sovranità”. Alla Commissaria per i diritti dell’infanzia Maria Lvova- Belova, incriminata insieme a Putin dalla Corte penale internazionale per il trasferimento forzato dei minori ucraini, è affidato il tema della tutela dell’infanzia nel panel “promozione dei valori tradizionali sotto la pressione del liberalismo aggressivo”.

I documenti ufficiali russi parlano del fine di raggiungere «un nuovo partenariato che risulti reciprocamente vantaggioso per affrontare le sfide del XXI secolo», e di «rafforzare una cooperazione globale e paritaria tra la Russia e i paesi africani in tutte le sue dimensioni: politica, sicurezza, economia, sfera scientifica, tecnica, culturale e umanitaria».

In buona sostanza si tratta di quell’immagine di una Russia filantropica verso i problemi dell’umanità del “Sud globale”, che Putin vorrebbe asseverare in quella parte del mondo per coalizzarlo contro l’occidente. E ora il portavoce presidenziale russo, Dmitry Peskov, ha annunciato che «la Russia è pronta a inviare gratis grano ai paesi africani bisognosi anche senza il Black Sea Grain Initiative» , precisando che della questione si discuterà proprio al forum di San Pietroburgo.

Di fronte a questa prospettiva, che vorrebbe la Russia al centro di un nuovo ordine mondiale, è bene allora inquadrare le mistificazioni delle strategie di Putin partendo proprio dal ritiro dal cosiddetto “accordo sul grano”, più propriamente indicato come Black Sea Grain Initiative, l’intesa che doveva consentire all’Ucraina di continuare ad assicurare per il mercato globale esportazioni per 45 milioni di tonnellate di cereali all’anno.

La geopolitica del grano

Per comprendere lo scenario occorre considerare diversi aspetti. In primo luogo è bene approfondire quanto effettivamente l’accordo sui cereali abbia inciso sulla crisi alimentare che riguarda principalmente le popolazioni sulla soglia della carestia, in particolare nel continente africano e in alcune regioni asiatiche. Vale perciò accedere al sito delle Nazioni Unite dedicato al “Centro congiunto di coordinamento” (JCC) previsto dall’accordo e andare alla voce “Dati”.

Dall’attuazione dell’intesa si contano 39,2 milioni di tonnellate esportate, ma tra i primi cinque paesi destinatari risultano per prima la Cina, in misura assolutamente rilevante con oltre 8 milioni di tonnellate, a seguire: 

  • Spagna (6 mln),
  • Turchia (3,2 mln),
  • Italia (2,1 mln),
  • Olanda (2 mln),
  • e poi compaiono l’Egitto (1,6 mln)
  • e il Bangladesh (1,1 mln).

Dall’Africa figurano ancora, ma per quantità nettamente inferiori: 

  • Tunisia (713,5mila),
  • Libia (558,5mila),
  • Kenya (437,5mila),

e a fine lista:

  • Etiopia (282,5mila),
  • Algeria (212,5mila),
  • Marocco (111,2mila)
  • e Sudan (95,3mila).

In sostanza, la realtà è ben diversa dalla narrazione che l’intesa avrebbe aiutato soprattutto l’Africa. Ben inteso, ciò non svilisce il valore complessivo dell’accordo raggiunto all’incirca un anno fa grazie alla mediazione del presidente turco Erdogan e dello stesso segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, che in quella circostanza sembrò aver ritrovato il piglio che si richiede alla carica.

La ripresa delle esportazioni del grano nel mar Nero ha evitato la lievitazione del costo dei cereali sui mercati internazionali e i connessi effetti distorsivi sull’aumento di assicurazioni e noli che tanto incidono sul traffico mercantile. E questo effetto positivo ha avuto riflessi certamente anche sui paesi africani, che hanno potuto almeno ricevere prodotti alimentari a più basso costo.

Inoltre, anche secondo le analisi di Politico.com, la questione che la Cina sia il principale destinatario delle esportazioni di cereali induce ad un cauto ottimismo, perché ora da parte occidentale si auspica che Pechino possa esercitare le dovute pressioni su Mosca per rivedere la posizione del ritiro dall’accordo. Anche per questo lo stesso Erdogan ha rilanciato dichiarazioni rassicuranti per le possibilità di rimetterlo in esercizio.

C’è però un altro aspetto da considerare, molto più significativo. Si tratta della conclamata sovreccedenza della produzione di cereali russi, che è stata posta in evidenza dalla stessa agenzia di stampa russa Tass, da siti di società e agenzie specializzate come Jacob&Partners, World Grain e Bneintellinews, oltre che da diverse analisi del dipartimento di Stato Usa.

Come riscontri si riportano le dichiarazioni di Putin che a marzo aveva annunciato il record di tutti i tempi di 153-155 milioni di tonnellate di grano prodotti nello scorso anno, mentre le indicazioni del 16 giugno del vice primo ministro Victoria Abramchenko hanno confermato il trend positivo per 130 milioni di tonnellate per quest’anno.

Sta di fatto che la troppa produzione, secondo le citate agenzie internazionali, ha comportato un’eccedenza che non ha trovato sbocchi, con inevitabili problemi di mancanza di spazi per lo stoccaggio e di trasporto, dovuti più che al sistema delle sanzioni ai condizionamenti generali della guerra. La questione all’interno della Russia sta pure assumendo un profilo di rischio per l’inflazione e le lagnanze che dalle assemblee locali affluiscono al centro: i coltivatori di grano russi hanno già perso circa 1 trilione di rubli (15 miliardi di dollari) a causa dei dazi all’esportazione ma le perdite subite sul mercato interno sarebbero anche più elevate.

Insomma, l’idea di Putin e della sua nomenklatura è che in qualche modo, se si blocca il grano ucraino, la Russia potrà esportare i sui cereali in eccedenza, che altrimenti finirebbero per marcire. Il disegno quindi si coniuga bene con le altre due esigenze strategiche: la prima, concerne l’intento, di cui si è detto, di accaparrarsi la riconoscenza del “Sud globale”, la seconda concerne ora la necessità attualissima di recuperare il controllo dell’ingerenza e dei condizionamenti sui governi africani finora assicurati dal gruppo Wagner.

Realpolitik sul mar Nero

Rimane la questione centrale che in ogni caso la scelta della Russia di ritirarsi dall’accordo è destinata ad avere non poche conseguenze, anche se l’aspetto sorprendente dell’annuncio russo del 17 luglio è stata la reazione del mercato: i prezzi del grano sono inizialmente saliti, ma poi sono ridiscesi. L’andamento sarà certamente ancora fluttuante, ma sulle prospettive più concrete delle conseguenze almeno sul breve periodo le analisi internazionali non sono completamente negative.

Per Tanner Ehmke, economista dell’americana CoBank, l’annuncio arriva in un punto basso della stagione marittima, e fa guadagnare tempo all’Ucraina per potenziare percorsi alternativi prima dell’autunno. La domanda globale dei paesi più deboli potrà effettivamente spostarsi verso le spedizioni di grano russo che rimangono elevate, e anche verso il raccolto di mais del Brasile, pure estremamente favorevole.

La Cina, destinazione principale per le materie prime agricole esportate dal mar Nero, e la Turchia, che è terza, lavoreranno per fare pressioni sulla Russia. Conta molto anche il cambiamento dello scenario complessivo: la Turchia ha votato per approvare l’adesione della Svezia alla Nato, e il potere di Vladimir Putin si è indebolito dopo l’ammutinamento del gruppo Wagner e le turbolenze di vari generali. Anche se l’accordo è ufficialmente concluso, sarà improbabile che Putin affondi qualche nave diretta verso la Cina, anche perché sarà difficile per la marina russa individuare quali navi colpire e quali lasciar passare.

Nuovi corridoi umanitari

Quello che sta realizzando la Russia, in concreto, e cioè «il blocco dei porti o delle coste di uno stato», con la conseguente limitazione della libertà di navigazione, non è però altro che una declinazione specifica di un atto di «aggressione», divenuto illegittimo a seguito della Risoluzione dell’assemblea generale della Nazioni unite 3314 del 14 dicembre 1974, e ora sanzionabile anche ai sensi dello statuto della Corte penale internazionale (art.8-bis).

Il “blocco navale” è infatti una modalità tipica dell’attacco alla sovranità di uno stato che può essere legittimato solo se ricorrono gravi violazioni alla carta delle Nazioni unite. Peraltro, secondo il diritto internazionale, è prevista una specifica modalità di notifica formale del “blocco” e deve essere sottoposta al vaglio delle Nazioni unite, su cui possono pronunciarsi anche l’Assemblea generale e la Corte internazionale di giustizia.

In linea generale, posto per altro che nel sistema delle Nazioni unite la legittimazione dell’uso della forza ricade esclusivamente nelle misure che può adottare il Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite, ai sensi dell’articolo 42 della Carta anche il blocco navale va ricondotto esclusivamente nell’ambito di quelle «misure per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale» del Capitolo VII. Per quanto poi specificamente deve richiamarsi a proposito del blocco di esportazioni alimentari è bene richiamare alcuni princìpi e norme fondamentali. L’art. 54.1 del primo Protocollo di Ginevra del 1977 pone un esplicito divieto di affamare la popolazione civile.

Sulla base di questi princìpi e regole universali, ora occorrerà vedere quali intendimenti si stanno proponendo i paesi africani che parteciperanno al vertice di San Pietroburgo, dove è auspicabile che non si facciano attrarre dalle narrazioni anti coloniali e rivendichino il diritto delle loro popolazioni ad essere alimentate anche dal grano ucraino ed europeo, e a far cessare la guerra.

Se così non fosse sarà bene perciò che la Russia sia chiamata a confrontarsi in un dibattito aperto anche in seno all’Assemblea generale delle Nazioni unite. E dunque, al di là delle condanne che sono giunte puntuali, è ora necessario che Nazioni unite e Unione europea sappiano far convergere le posizioni della Turchia, ma anche della Cina e dei paesi del “Sud globale” per ripensare ad un mar Nero in cui si ripristino i ”corridoi umanitari”.

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