Ancora fuoco israeliano su Jenin portato dall’operazione “Muro di ferro”: altre 7 morti, 35 feriti. Il racconto dei palestinesi: «Negli ultimi giorni gli attacchi per strada contro le nostre auto sono frequentissimi, i coloni ci lanciano addosso le pietre». Tutti parlano di uno spostamento del fronte di guerra da Gaza alla Cisgiordania
A tre giorni dal cessate il fuoco che ha inaugurato la prima di quelle che dovrebbero essere le tre fasi degli accordi relativi alle operazioni militari nella Striscia di Gaza, la tensione nei territori palestinesi occupati è in vertiginoso e costante aumento.
Per entrare a Betlemme resta un solo checkpoint aperto. In città c’è un clima di sospensione: «Siamo tutti felicissimi per la tregua a Gaza», commenta Mohammed, che lavora da decenni come tassista a Betlemme e in tutta la Cisgiordania, «però qui la situazione è tornata come all’indomani del 7 ottobre, e sappiamo che peggiorerà».
Lui stesso ha smesso di guidare al di fuori di Betlemme dopo il tramonto: «Normalmente non c’è nessun problema, ma negli ultimi giorni gli attacchi per strada contro le macchine palestinesi sono frequentissimi, i coloni ci lanciano le pietre contro ed è molto pericoloso». Nel frattempo, in città si parla esplicitamente di uno spostamento del fronte di guerra da Gaza alla Cisgiordania. L’esercito posiziona mezzi pesanti e blocchi di cemento alle entrate della città. E ieri anche un altro violento raid a Jenin, in cui sono stati uccisi 7 palestinesi. Trentacinque i feriti.
Ovunque checkpoint
Le vie di comunicazione tra le città palestinesi sono quasi tutte chiuse, e spostarsi diventa più difficile di ora in ora. Anche dove non ci sono checkpoint o chiusure, si trovano ovunque controlli di polizia. Ieri mattina si è formata una coda di ore per uscire da Ramallah, chi si è messo in viaggio alle 9 di mattina è riuscito a uscire soltanto in serata. Anche a Gerusalemme occupata, nel campo di Shufat, ci sono stati violenti attacchi nella notte, con massiccio uso di lacrimogeni.
Poco distante da Betlemme, nella regione di Masafer Yatta, colline a sud di Al Khalil (in ebraico Hebron), in zona C secondo gli accordi di Oslo, hanno iniziato a girare alcuni messaggi in cui i coloni minacciano attacchi nei villaggi. In Masafer Yatta, dove la popolazione palestinese vive sotto l’autorità civile e militare israeliana, la situazione è di per sé critica e le violenze sono continue anche in una situazione di relativa normalità.
«Nella mattina di mercoledì», racconta Giorgia, volontaria di Operazione Colomba, corpo nonviolento di pace attivo nel villaggio di At-Tuwani da più di vent’anni, «c’è stato un violento attacco nel villaggio di Qawawis, i coloni sono arrivati a volto coperto, come succede in questi casi, e hanno picchiato, tra gli altri, un signore molto anziano, colpendolo con delle spranghe sulla schiena e sulle gambe; nel frattempo diversi coloni e coloni-soldato hanno impedito ai palestinesi di arare i loro campi, una strategia usata spesso per impedire agli abitanti della zona di autosostentarsi, anche tramite la necessità di richiedere un permesso per poter coltivare le loro terre, spesso poi i coloni vanno ad arare le terre al posto loro, per potergliele sottrarre».
Paura e stanchezza
Il telefono degli attivisti squilla incessantemente, diversi i villaggi in cui viene richiesta la loro presenza: «Le persone sono spaventate, ma anche molto stanche. Se già la situazione prima del 7 ottobre era estremamente pesante per la popolazione, con continui attacchi, dopo più di un anno in cui la violenza è ulteriormente aumentata, gli abitanti dei villaggi continuano a resistere con l’unico mezzo che hanno a disposizione in questo momento, cioè continuare a stare sulla propria terra, ma con sempre maggiore fatica, anche a causa della continua e sempre più rapida espansione delle colonie».
Stare sul campo
Anche gli attivisti dell’italiana Mediterranea Saving Humans, la cui presenza nei territori occupati riprende proprio oggi, dopo una prima fase la scorsa estate, sottolineano la necessità di continuare a stare sul campo: «Come coordinatori del progetto di Mediterranea Saving Humans in Palestina», commentano dall’associazione, «riteniamo che sia necessario essere presenti dove i diritti umani vengono violati e testimoniarne l’impatto devastante sulle vite delle persone».
Per questo, in questa seconda fase del progetto, Mediterranea pubblicherà un report semestrale proprio sulle violazioni dei diritti umani subite quotidianamente dalla popolazione palestinese in Cisgiordania.
Anche nel nord della Cisgiordania si susseguono raid e attacchi. Oltre ai primi due raid dell’operazione “Muro di ferro” a Jenin, che hanno causato al momento 16 morti e più di 75 feriti, nella cittadina di Azzoun, a est di Qalqilyq, l’esercito israeliano ha arrestato più di 60 palestinesi.
Lo stesso giorno in cui, come stabilito dagli accordi sul cessate il fuoco, il governo israeliano ha rilasciato 90 detenuti: «È sempre così», commenta Mohammed, «ne rilasciano alcuni, e ne arrestano altri, non esiste una vera tregua nella vita sotto occupazione».
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