Il tema ufficiale dell’incontro era un pomposo “Piano Marshall del calcio”. Ma nella sostanza si parlò d’altro, in quel 9 settembre del 2020 che a Palazzo Chigi registrava un insolito summit. Perché assieme a Giuseppe Conte, capo del governo giallorosso, erano presenti anche il presidente della Fifa, Gianni Infantino, e quello della federazione italiana, Gabriele Gravina.

Quest’ultimo era presente per dovere di ruolo, ma non sembrava granché in linea con la discussione. Che presto virò verso la prospettiva di avere una candidatura congiunta fra Italia e Arabia Saudita per ospitare i Mondiali 2030. Una prospettiva che sembrava piacere molto a Infantino, per niente a Gravina e trovò un Conte in versione muro di gomma.

Nel dare la notizia, i media parlarono di un vertice che aveva come obiettivo la progressiva riapertura degli stadi dopo la chiusura determinata dalla prima ondata pandemica. L’etichetta “Piano Marshall” era megalomane, come molte delle cose su cui il presidente della Fifa mette il timbro. Ma ancor più megalomane era il piano di portare i Mondiali di calcio in Arabia Saudita nell’anno 2030. Un piano che stava parecchio a cuore al presidente. Specie quel giorno a Palazzo Chigi.

Facciamo bottega?

Perché la si racconti bene, questa storia va narrata dall’inizio. E il punto di partenza si ha nella primavera 2020 con gli abboccamenti fra le federazioni calcistiche italiana e saudita, il cui scopo è realizzare programmi di partnership tecnica.

I sauditi vogliono crescere in tutti i settori e il calcio è fra questi. Non si immagina ancora che possano fare lo sfoggio di potenza finanziaria a cui assistiamo in queste settimane sul mercato dei trasferimenti di calciatori.

Anzi, è ancora un tempo in cui la possibilità di piantare la loro bandiera in Premier League è molto di là da venire, dato che nei mesi successivi (settembre 2020, giusto nei giorni in cui Infantino incontra Conte a Palazzo Chigi) una prima offerta per acquisire il Newcastle United tramite il Public Investment Fund (Pif) verrà rigettata dalla Premier League, dietro pressione degli altri club.

Dunque in quella fase la discussione sulla partership tra le federazioni ha come oggetto uno sviluppo nei settori tecnico, arbitrale e del calcio femminile. Eppure già durante quei primi contatti l’idea di puntare all’organizzazione congiunta dei Mondiali 2030 si fa largo fra i sauditi. Che di motivi per puntare sull’Italia ne hanno più di uno.

C’è innanzitutto che la Figc è una delle federazioni storiche del calcio mondiale, ciò che consentirebbe di dare forti chance di riuscita alla candidatura e contribuirebbe a far uscire il calcio arabo dal cono d’ombra che impedisce di acquisire un club in Premier League.

Ma c’è anche un aspetto pratico di cui bisogna tenere conto: che si tratti di Italia o no, i sauditi hanno bisogno di almeno un partner non asiatico se vogliono puntare a organizzare i Mondiali del 2030. Il motivo è dettato dai regolamenti Fifa, che impediscono di organizzare la fase finale dei Mondiali in un continente se non siano passate almeno due edizioni dall’ultima volta in cui quel continente è stato ospitante. E poiché di lì a due anni l’Asia avrebbe accolto l’edizione del 2022, per di più ospitata dai “cugini di campagna” del Qatar (smacco insopportabile), ecco che per i sauditi la prospettiva di veder svolgere in casa propria la Coppa del Mondo slitta almeno al 2034. Ciò risulta loro inaccettabile, perché hanno indicato proprio nell’anno 2030 un punto di svolta nella storia del loro Paese.

Per quell’anno devono essere compiuti gli obiettivi di grandezza del programma Vision 2030, che fra l’altro prevedono di ospitare l’Expo a Riad. Portare a casa anche i mondiali significherebbe sbancare e accreditarsi come potenza economica e culturale di grandezza assoluta. Ma per ottenere il risultato bisogna costruire una candidatura pluri-continentale, cioè coinvolgere federazioni di paesi non asiatici con l’effetto di farla diventare candidatura globale anziché continentale.

Il problema egiziano

Il progetto di candidatura saudita è sfumato poco meno di due settimane fa. Ne era stato confermato l’impianto pluricontinentale, che prevedeva il coinvolgimento di un Paese africano (l’Egitto) e di uno europeo (la Grecia, in sostituzione dell’Italia). Esattamente lo schema proposto alla Figc dopo i primi contatti in cui si parlava di partnership per lo sviluppo tecnico.

Quella partnership viene messa nero su bianco il 27 ottobre 2020 da Gabriele Gravina e il suo omologo saudita, Yasser Al-Misehal. Nell’occasione è presente anche Abdul Aziz bin Turk Al Faisal, ministro dello sport saudita che viene dato anche come uno degli esponenti politici più vicini al principe ereditario Mohammed bin Salman.

Giusto per dare un’idea dell’importanza che i sauditi assegnano, in quel momento, al rapporto con l’Italia del calcio. A meno di due mesi dell’incontro a Palazzo Chigi, continuano a insistere sulla prospettiva del mondiale a tre Arabia Saudita-Egitto-Italia. Ancora nel mese di aprile 2021 una delegazione saudita sarà ospite nella sede Figc per presentare un video ufficioso della candidatura.

Nel filmato si vede un pallone calciato dalla Mecca che rimbalza a Luxor e plana sul Colosseo. Non il massimo dell’originalità, ma a contare non è tanto il plot quanto il timbro latente sulla candidatura. Il timbro Fifa. Infantino è molto favorevole alla candidatura e non lo nasconde.

Non è dato sapere se, partendo dal ruolo super partes che ha il dovere di svolgere, mostri altrettanta simpatia per le altre due candidature in campo per il 2030, quella iberica (Spagna e Portogallo, cui più avanti si aggiunge il Marocco con l’Ucraina ancora in bilico) e quella sudamericana (Argentina-Cile-Paraguay-Uruguay).

A questa precisa domanda inviata, fra le altre, dalla redazione di Domani è giunta una risposta elusiva da parte del dipartimento media della Fifa. Che di fatto ha deciso di non affrontare nel merito i nostri interrogativi. A ogni modo, il progetto di candidatura a tre viene rigettato quasi subito dalla Figc.

Che pensa piuttosto a ospitare gli Europei del 2032, e che inoltre appoggia Spagna e Portogallo perché i due paesi iberici sono a capo di una candidatura accettata dall’Uefa e benedetta dal suo presidente Aleksander Ćeferin. Anche su questo tema (lo sgarbo istituzionale nei confronti del presidente Uefa) il dipartimento media della Fifa ha preferito non rispondere.

Tornando ai motivi d’imbarazzo per la Figc, ci sono anche i gravi problemi diplomatici con l’Egitto, giunti al limite massimo di tensione con l’esplodere del Caso Regeni. Tutti ottimi motivi per non fare bottega coi sauditi sui Mondiali 2030. Ma da Riad non demordono. E nemmeno da Zurigo.

Un principe mediatore

Cosa si dicono i protagonisti di quell’incontro a Palazzo Chigi, nel settembre del 2020? Ciò di cui Domani è al corrente, con la massima certezza, è che il tema dell’adesione italiana alla candidatura saudita viene tirato in ballo da Infantino.

E incontra una reazione molto distaccata da parte di Giuseppe Conte. Che oltre a sottolineare la necessità di rispettare l’autonomia della Figc e delle sue decisioni, porrebbe a Infantino una condizione per prendere in considerazione la candidatura coi sauditi: il principe ereditario Mohammed bin Salman assuma un ruolo da mediatore sui dossier delicati fra Roma e Il Cairo, ci metta tutto il suo peso da statista. E a quel punto si potrà tornare a discutere di un mondiale 2030 organizzato in associazione tra Italia e Arabia Saudita.

Anche questo aspetto è stato oggetto di una fra le domande inviate da Domani alla Fifa. Nessuna risposta, nemmeno per smentire. Dopo la controproposta di Conte, la cosa finisce praticamente lì nonostante i sauditi non demordano ancora per mesi, tanto da produrre quel video ufficioso da esercizio di didattica multimediale di base. E quando infine comprendono che l’Italia non sarà mai partner della candidatura, puntano sulla Grecia per assicurarsi la sponda europea. Fino a due settimane fa, quando arriva l’inatteso stop. Pare che il movimentismo saudita fosse diventato ingombrante per la Fifa stessa. Che d’ingombro lo è stato di suo, ma questo è un altro discorso.

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