Paragonata al ripristino delle comunicazioni tra i rispettivi eserciti e al rilancio della cooperazione tra Pechino e Washington contro il cambiamento climatico, l’intesa raggiunta mercoledì scorso a San Francisco tra Joe Biden e Xi Jinping sul contrasto al traffico di fentanyl sembrerebbe secondaria.

E invece per il presidente l’alleanza con Pechino nella guerra contro l’oppioide sintetico che sta dilagando negli Stati Uniti potrebbe rappresentare una carta importante da giocarsi nella campagna per le elezioni del 5 novembre 2024.

Fermare le esportazioni di fentanyl dalla Cina: non a caso la richiesta è stata presentata a Xi, prima che da Biden, da un gruppo di parlamentari in visita a Pechino, guidati dal senatore democratico Chuck Schumer, e ora la Casa bianca dà grande rilevo all’impegno strappato alla Cina.

Il fentanyl, che ha iniziato a diffondersi dieci anni fa, rappresenta una delle crisi più gravi dell’America. Aggiungiamoci anche che il figlio di Biden, Hunter, ha avuto una storia documentata di dipendenza dalle droghe sintetiche, e potremmo dire che per il presidente la questione è personale e politica al tempo stesso.

La dipendenza da quella che le sue vittime chiamano anche “China girl” e “China town” è infatti una vera e propria piaga sociale. Secondo i dati della Drug Enforcement Administration (Dea), 107mila statunitensi sono morti per overdose nel 2021, causate in tre quarti dei casi da oppioidi, quasi sempre, come il fentanyl, prodotti in laboratorio.

Secondo i Centers for Diseases Control and Prevention (Cdc), il fentanyl e altri oppioidi sintetici hanno provocato più di 77mila decessi per overdose negli Stati Uniti tra maggio 2022 e aprile 2023. Il fentanyl viene sniffato, fumato, assunto sotto forma di pillole, venduto da solo o in combinazione con eroina e altre sostanze. È stato identificato perfino in scatole di compresse false, imitazioni di farmaci come l’ossicodone.

Inizia la repressione?

EPA

A San Francisco, in occasione del faccia a faccia tra i due capi di stato, i tossicodipendenti che vivono accampati in strada nelle vie centrali sono stati sgomberati dalla polizia. A Fog city la crisi è particolarmente acuta, tanto da aver spinto il governatore della California, il democratico Gavin Newsom, a varare un piano d’emergenza da 1 miliardo di dollari.

Mescolato con altre droghe il fentanyl è ancora più devastante per i consumatori, molto spesso adolescenti, e tante volte inconsapevoli che i trafficanti lo hanno aggiunto all’eroina. Per questo in città sono stati sperimentati test rapidi (simili a quelli anti-Covid), per verificare la positività alla sostanza, che potrebbero essere estesi a livello nazionale.

Sull’accordo raggiunto a San Francisco il resoconto dell’agenzia Xinhua si mantiene piuttosto vago, annunciando la «istituzione di un gruppo di lavoro per la cooperazione anti-narcotici». Secondo la Casa bianca, il governo cinese inizierà ad adottare misure di contrasto contro i fornitori cinesi di questi materiali ed emetterà un avviso alle industrie nazionali. Biden ha dichiarato che i primi risultati sarebbero già tangibili: «Alcune aziende farmaceutiche con sede nella Repubblica popolare cinese hanno cessato le attività e si sono visti bloccare alcuni conti di pagamento internazionali».

Il successo di questa battaglia dipende in gran parte dall’effettiva applicazione da parte di Pechino delle leggi e dei regolamenti già in vigore, relativi alle componenti chimiche alla base del fentanyl e alle presse per pillole made in China.

In seguito alle pressioni dell’amministrazione Trump, il primo maggio 2019 il governo ha aggiunto il fentanyl all’elenco dei narcotici controllati. Secondo la legge cinese la produzione e la vendita di questo oppioide – un antidolorifico molto più potente della morfina – sono punite con la pena di morte.

In teoria uno stato autoritario come quello cinese ha gli strumenti per reprimerne il traffico, in pratica però si tratta di tenere sotto controllo l’intero comparto chimico (circa il 50 per cento di quello globale, 70 miliardi di dollari di esportazioni all’anno) e di coordinare nello sforzo autorità locali non tutte ugualmente efficienti e rispettose delle direttive dell’autorità centrale.

Una filiera globale

Funzionari statunitensi sostengono che l’industria chimica cinese (fatta sia di colossi pubblici sia di migliaia di compagnie private) stia giocando un ruolo chiave nella crisi americana del fentanyl, perché è da lì che proviene la maggior parte delle componenti utilizzate nei laboratori illegali, tra cui quelli in Messico, che è diventato il maggiore esportatore di fentanyl negli Stati Uniti.

La Cina ha provato a negare di ricoprire un ruolo così centrale, rispedendo le accuse al mittente, che nutrirebbe una “cultura del consumo di droga”. Un anno fa il ministero degli esteri di Pechino ha sostenuto che «il marketing a tutto campo da parte delle aziende farmaceutiche, le prescrizioni eccessive da parte dei medici, le inefficaci misure repressive del governo e le implicazioni negative della legalizzazione della marijuana sono solo alcuni dei fattori che stanno dietro un mercato in continua crescita dei narcotici».

In realtà nemmeno la Cina è immune dal problema. Diverse inchieste dei media nazionali hanno documentato il crescente fenomeno della dipendenza da farmaci antidolorifici, prescritti allegramente dai dottori e accessibili comodamente nei negozi online, tanto che nel 2019 quelli contenenti più di 5 milligrammi di oxycodone sono stati inseriti nella lista delle sostanze psicotrope di II categoria.

Anche quella del fentanyl è una filiera globale. Secondo la Dea, la droga arriva negli Stati Uniti attraverso quattro percorsi: direttamente dalla Cina o dall’India, oppure dalla Cina, ma passando prima per il Messico, soprattutto, o, in quantitativi minori, per il Canada, paesi dove le sostanze chimiche sono trasformate in prodotto finito.

Le sostanze alla base del fentanyl vengono vendute online da compagnie cinesi. Tra le ultime scoperte dal dipartimento del tesoro Usa, la Hanhong Pharmaceutical, che vanta di poter esportare, dallo scalo di Shanghai, fino a 50 tonnellate al mese di piperidina. L’offerta si può consultare in rete, il quantitativo minimo è 1 chilogrammo, la consegna viene effettuata entro tre giorni e i contatti avvengono via WhatsApp o Telegram. I cartelli della droga messicani possono pagare tramite bonifico o criptovaluta.

Droga e geopolitica

Negli ultimi anni la lotta al fentanyl è rimasta prigioniera della rivalità strategica tra Washington e Pechino, finendo per essere utilizzata come arma negoziale. Prima del vertice tra Biden e Xi a San Francisco, Pechino aveva sospeso la cooperazione in materia come rappresaglia contro la visita a Taiwan dell’allora speaker della Camera, Nancy Pelosi, nell’agosto 2022.

Prima di allora, a rallentarla era stata la reazione alle sanzioni Usa per la violazione dei diritti dell’uomo nella regione del Xinjiang. Le aziende cinesi che producono le componenti chimiche alla base del fentanyl si erano limitate a ridurre l’export verso gli Usa e ad aumentare quello verso il Messico, da cui poi il prodotto finito arriva negli States.

Secondo i dati dei Cdc le morti per overdose da fentanyl negli States sono più che triplicate tra il 2016 e il 2021. A questo punto Pechino potrebbe essere spinta all’azione, perché non vuole che la Cina venga identificata come un paese che in qualche modo sostiene il narcotraffico verso un’America dove già – secondo il Pew Research Center – l’82 per cento della popolazione ha un’opinione negativa della Cina.

Biden ha aumentato la pressione sulla Cina proprio aggiungendola, a settembre, alla lista statunitense dei principali paesi produttori di droga al mondo, una mossa che Pechino ha denunciato come “una diffamazione”. Ma nello stesso tempo si è messo nelle mani di Xi, perché se nei prossimi mesi in Cina non scatterà una efficace repressione del traffico di fentanyl, per i repubblicani la mancata promessa presidenziale diventerà una potente arma elettorale.

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