Il bilancio parla chiaro: almeno 33 morti e più di 700 feriti negli scontri che da ieri hanno interessato l’Iraq. Dopo che il leader sciita Moqtada al-Sadr ha rassegnato le dimissioni dalla carriera politica, centinaia di suoi sostenitori hanno assaltato la green zone di Baghdad, area in cui ci sono le ambasciate internazionali e i palazzi del potere iracheno. I sadristi hanno provato a prendere il controllo del palazzo presidenziale, una scena non usuale negli ultimi tempi: dall’assalto a Capitol Hill alla presa dei palazzi istituzionali in Sri Lanka.

Gli scontri vedono da una parte le Brigate della pace (Saraya as Salam, ovvero i seguaci armati del leader sciita Moqtada Sadr e, dall’altra, i jihadisti sciiti filo-iraniani dei partiti armati sostenuti dall’ex premier Nuri al Malik. L’intervento della polizia che ha usato gas lacrimogeni e proiettili di gomma non ha evitato l’alto numero di vittime, uccise da armi da fuoco sparate al momento da ignoti.

Il tentativo di calmare le proteste

Dopo essersi dimesso perché non è stato in grado di raggiungere un accordo per formare un governo a dieci mesi dalla vittoria delle elezioni al-Sadr si è trovato costretto a chiedere ai suoi sostenitori di abbandonare il palazzo presidenziale. Un tentativo in extremis di far rientrare le tensioni dopo che nei mesi scorsi i sadristi si sono resi protagonisti, più volte, di manifestazioni e sit-in di protesta davanti alla sede del parlamento iracheno. «Sono molto rattristato per quello che sta accadendo in Iraq. Offro le scuse al popolo iracheno per quello che è successo – ha detto al-Sadr – La rivoluzione non si fa con le armi le proteste devono rimanere pacifiche».

L’esercito ha prorogato il coprifuoco imposto nella giornata di ieri su tutto il territorio nazionale, mentre il premier Mustafa al-Kadhimi ha decretato la chiusura delle istituzioni pubbliche, le scuole e le banche. La situazione è incandescente e rischia di degenerare da un momento all’altro. Stati Uniti e Onu guardano all’Iraq con preoccupazione.

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