L’Iraq torna in bilico come nazione. Alla crisi interna intra-sciita che è diventata violenta, si aggiungono quella della zona autonoma curda del nord alle prese con la penetrazione turca e quella del triangolo sunnita dove si sente parlare di rinascita dello Stato islamico.

La maggiore delle crisi si sta certamente dipanando a Baghdad attorno alla controversa figura di Moqtada al-Sadr, all’inizio del millennio leader dell'opposizione sciita contro l'occupazione statunitense del paese e trasformatosi da tempo in uno dei più importanti leader politici iracheni, forse il più inviso a Teheran.

Moqtada ha vinto le ultime elezioni legislative del 2021 ma non è completamente soddisfatto del risultato: l’obbligo che deriva dalla costituzione irachena di creare delle “supermaggioranze” per poter governare (un modo che serve ad includere obbligatoriamente sciiti, sunniti e curdi), lo obbligava a fare delle colazioni in cui si sentiva troppo alle strette e che lo costringevano a mediare.

La sua maggioranza era solo relativa e ciò non gli bastava per affermarsi come leader assoluto nell’universo sciita iracheno, una realtà molto composita. Per questo alcuni mesi fa ha dato l’ordine ai suoi di abbandonare il parlamento ed il governo, in una specie di Aventino organizzato nella speranza che gli altri gli chiedessero di rientrare cedendo alle sue rimostranze e pretese.

Al contrario è sorprendentemente avvenuto che il sistema politico iracheno è andato avanti senza di lui, nominando un nuovo primo ministro e sostituendo i sadristi al governo con altre personalità.

LA VENDETTA DI MOQTADA

È a questo punto che, punto sul vivo, Moqtada ha ordinato ai suoi sostenitori di occupare la sede dell’assemblea e quella del governo, poste entrambe all’interno della green zone, l’area più fortificata di Baghdad. Grazie ai tanti appoggi di cui godono nella popolazione, tra i quadri amministrativi e delle forze dell’orine, i sadristi sono stati in grado di violarla facilmente alcune settimane fa e da allora hanno iniziato le loro occupazioni che ora si stanno trasformando in uno scontro cruento con decine di vittime.

Il timore di un’aperta guerra civile esiste, tanto che qualche giorno fa il premier ha fatto appello all’esercito di tenersi fuori della diatriba politica e obbedire solo agli ordini delle autorità. Molti temono che anche tra le fila dei militari vi siano militanti sadristi. È noto che in Iraq il sistema è multipolare e pluralista: non esiste nessun leader che possa affermare di avere il monopolio di tutti gli sciiti iracheni, nemmeno la parte che gode dell’appoggio iraniano e che oggi sta sfidando Moqtada.

Quando quest’ultimo ha tentato la sua prova di forza, agli altri protagonisti del mondo sciita è bastato collegarsi fra loro per mettere i sadristi in difficoltà, con l’unica opzione se scegliere per la violenza, cosa che nemmeno lo stesso Moqtada sembrava voler fare.

IL RUOLO DI SUNNITI E CURDI

Alcuni osservatori dicono che la situazione era talmente tesa che è sfuggita di mano ai responsabili ed ora diventa difficile recuperare il controllo.

Il sistema iracheno è stato creato per garantire che anche i sunniti e i curdi siano inclusi nelle coalizioni di governo: per ottenere una maggioranza al parlamento ci vogliono aggregazioni molto allargate e composite. All’inizio di questa fase, ad esempio, il partito il Partito democratico del kurdistan (Pdk), che governa la regione autonoma del Kurdistan, era alleato di Moqtada al-Sadr ma se ne è allontanato quando quest’ultimo ha iniziato a parlare di cambiamento della costituzione.

In realtà la carta protegge i curdi come in nessun altro paese al mondo, concedendo loro diritti politici, la regione autonoma, molte risorse, il riconoscimento della loro lingua come lingua ufficiale dell’Iraq e così via. Per ora sia gli Stati Uniti che l'Iran si sono tenuti alla larga dalla crisi politica di Baghdad, anche se non vi è dubbio che stiano aspettando il momento opportuno per influenzare al loro favore il corso degli eventi.

Intanto a nord la Turchia continua a premere perché le sia concesso ancor più spazio di manovra nella sua guerra contro il Pkk che da anni ha le sue basi nell’area, la stessa che prima era stata occupata dall’Isis. Le violenze di Baghdad potrebbero favorire le manovre turche: da mesi Ankara ha annunciato un aumento della sua presenza sia in Siria che in Iraq. Dal canto suo lo Stato islamico sta aumentando i suoi attacchi in Siria ma inizia anche a compiere attentati in Iraq, un’ulteriore segno di fragilità del paese. 

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