Alle tre del pomeriggio di mercoledì era già in corso il funerale del sedicenne israelo-canadese Aryeh Schupak, ucciso in una delle due esplosioni avvenute in mattinata presso due fermate dell’autobus a Gerusalemme. Come da tradizione ebraica, le cerimonie funebri si svolgono senza indugi immediatamente dopo la scomparsa dei fedeli.

Solo perché ebreo

«È stato ucciso semplicemente in quanto ebreo», ha dichiarato il primo ministro israeliano uscente Yair Lapid, ancora al timone mentre il leader dell’opposizione Benjamin Netanyahu cerca di trovare la quadra per una nuova coalizione di governo.

«Voglio dire ai cittadini di Israele: troveremo i responsabili. Possono scappare, possono nascondersi, ma non servirà a nulla: le forze di sicurezza li raggiungeranno». L’attacco di inserisce nel contesto di un anno particolarmente ferale per il conflitto, con oltre 30 vittime fra gli israeliani e 140 fra i palestinesi.

I fantasmi dell’intifada

I due attentati, il più sanguinoso a Givat Shaul a Gerusalemme ovest e il secondo a Ramot a Gerusalemme est, hanno lasciato oltre venti persone ferite, e di questi almeno tre sono in condizioni gravi. Le forze di sicurezza e i religiosi responsabili della raccolta rituale dei brandelli dei corpi sono rapidamente arrivati sulla scena.

La modalità degli attacchi ha fatto riaffiorare i traumi dei continui (e ben più letali) attentati suicida di Hamas sugli autobus israeliani nel corso della seconda intifada, nei primi anni duemila. Una fase che ha segnato profondamente la popolazione, e che è considerata uno dei fattori all’origine della scomparsa del campo pacifista.

Negli ultimi 15 anni circa attacchi di questo tipo, in particolare all’interno dei confini internazionalmente riconosciuti di Israele, erano divenuti estremamente rari, lasciando spazio a iniziative estemporanee di singoli più circoscritte, come gli accoltellamenti della cosiddetta “intifada dei coltelli” nel 2015.

Il capo della divisione operativa della polizia Sigal Bar Zvi in questo caso parla invece di “esplosivi potenti e di alta qualità” – sono stati nascosti in dei cespugli e dietro a un muretto vicino alla fermata dei mezzi pubblici, e poi detonati da remoto – e di una cellula terroristica “ben organizzata”.

Impatto politico

Malgrado la vittoria del blocco politico che lo propone come primo ministro alle elezioni del primo novembre scorso, Netanyahu non ha ancora risolto i nodi legati alla formazione del governo. Il tentativo di sfruttare le pressioni americane per circoscrivere il ruolo degli estremisti di “Sionismo Religioso” si scontra con le rivendicazioni degli alleati, che si sono affermati come terza forza politica del paese.

Sull’onda degli attacchi i politici Ben Gvir e Bezalel Smotrich, la cui unica raison d’etre politica è quella del massimalismo nel conflitto coi palestinesi, tornano a pretendere ruoli di peso. “Il terrore arabo assassino bussa alla porta, dobbiamo formare un governo subito”, ha dichiarato Smotrich.

Ben Gvir, l’oltranzista di “Potere Ebraico” che solo da poco ha rinnegato le sue posizioni a favore della deportazione di tutti gli arabi dal paese, vera rivelazione della quinta tornata elettorale in meno di quattro anni, si è imposto sulla scena recandosi sul luogo dell’attentato, dai feriti negli ospedali e infine al funerale dell’unica vittima.

“Dobbiamo far pagare un prezzo per il terrore. Tornare agli omicidi mirati, andare casa per casa nei villaggi dei terroristi (…)”, ha detto, invocando misure più restrittive nelle carceri ma senza chiedere la pena di morte come faceva in campagna elettorale. A lui dovrebbe toccare il ministero per la “pubblica sicurezza”.

Il cadavere rapito

Sulla scena dell’attentato Ben Gvir ha parlato del caso del giovane druso che rischia di riaccendere l’escalation nella cittadina di Jenin, nel nord della Cisgiordania. I fatti: un giovane druso di nazionalità israeliana nella giornata di martedì si era recato in West Bank, come è abbastanza comune anche fra gli arabo-israeliani che non vivono come minacciosi i territori palestinesi.

I drusi sono una minoranza di lingua araba presente anche in Siria e in Libano che in Israele si distingue per l’integrazione pressoché totale nella società ebraica, al punto che i membri della comunità fanno spesso carriera anche nelle forze armate.

Il quasi diciottenne Tiran Fero, in seguito a un grave incidente automobilistico, era stato ricoverato in un ospedale di Jenin ma è stato rapito da dei militanti palestinesi (non è chiaro se fosse già deceduto quando lo hanno staccato dai macchinari medici). Ora il vice-ministro della difesa israeliano fa sapere che, per recuperare la salma, “tutte le opzioni sono sul tavolo”.

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