«È importante mettere in discussione i presupposti di intelligence, operativi e strategici, indagare i limiti della nostra deterrenza nei confronti del nemico … bisogna fare attenzione a garantire la competenza delle unità regolari e dei riservisti … il coordinamento degli sforzi di intelligence e militari». Il discorso del capo dell’esercito israeliano, Herzi Halevi, in occasione del cinquantesimo anniversario della guerra dello Yom Kippur, suona beffardo all’indomani del formidabile attacco di Hamas nel sud di Israele. La carneficina di civili e soldati consumata dai militanti ha mandato in frantumi le certezze del pubblico israeliano

«Eifo Zahal?», dov’è l’esercito israeliano, è la domanda che si sente ripetere nelle dirette televisive israeliane di questi giorni in cui familiari disperati si rivolgono al pubblico implorando notizie dei cari. «Qualcuno ha visto mio figlio, non è raggiungibile al telefono», dicono i parenti dei cosiddetti “almonim”, “sconosciuti”, temendo siano fra le vittime non ancora identificate, oppure fra gli ostaggi rapiti a Gaza.

L’intelligence e le forze di sicurezza hanno fallito clamorosamente nel prevedere e prevenire l’attacco. I tempi di reazione nel contrastare l’invasione proveniente da un’entità dichiaratamente ostile sono stati lunghissimi.

Dopo i ritardi nel comprendere l’entità dell’attacco sono mancati i trasporti per radunare i soldati, molti dei quali, accompagnati dai familiari verso la striscia, non sono stati in grado di ricongiungersi con i commilitoni e si sono sparpagliati in squadre miste sotto comandanti improvvisati. Un giorno e mezzo dopo l’inizio dell’invasione, i combattimenti sono ancora in corso in alcune cittadine israeliane.

Il capo dello Shin Bet

Il capo dello Shin Bet, Ronen Bar, la scorsa settimana era alle prese col tentativo di convincere il ministro della Pubblica Sicurezza Itamar Ben Gvir a non ripetere per l’ennesima volta una visita provocatoria sulla Spianata delle Moschee/Monte del Tempio. Lo stesso Ben Gvir, sotto la cui responsabilità ricadono la polizia e la guardia di frontiera, si preoccupava con il suo compare estremista Bezalel Smotrich di come tormentare i palestinesi della cittadina di transito di Hawara in Cisgiordania.

Nelle scorse settimane il capo del Mossad, David Barnea, rilasciava dichiarazioni sull’Iran e seguiva il premier Benjamin Netanyahu a New York, in occasione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, forse per occuparsi della pace con l’Arabia Saudita.

Ronen Bar in estate discettava dell’utilizzo dell’intelligenza artificiale nell’ambito dell’operato dei servizi interni. Sei giorni prima dell'attacco il consigliere per la sicurezza nazionale Tzachi Hanegbi ha dichiarato che «Hamas è molto, molto represso». Nel frattempo una bomba stava per esplodere nel giardino di casa. Chi negli ultimi anni visitava le frontiere di Israele, quella del Libano come quella con la striscia di Gaza, rimaneva facilmente stupito dall’apparente mancanza di importanti contingenti militari lungo il confine.

Una realtà spiegata citando i sistemi di monitoraggio sempre più all’avanguardia, in grado di allertare in tempo reale tramite radar, telecamere e rilevatori qualsiasi movimento sospetto. L’assenza di truppe tradizionali sul posto, su base permanente e pronte all’azione, si è però rivelata fatale in occasione dell’offensiva di sabato. Il governo in carica non è poi scevro di responsabilità. Dall’inizio dell’anno, con la riforma del sistema giudiziario e la protesta popolare senza precedenti per contrastarla, si è parlato di come le divisioni interne a Israele potessero invitare i nemici a colpire.

Tanto più da quando migliaia di riservisti hanno deciso di interrompere il servizio militare per protesta contro il governo. In luglio Netanyahu si è rifiutato di incontrare il capo dell’esercito Halevi: voleva metterlo in guardia sull’effetto di tale protesta sulla capacità operativa delle forze armate. Il governo più di destra di sempre ha concentrato il proprio operato sulla West Bank prestando scarsa attenzione alla striscia di Gaza.

Alcuni esperti militari israeliani hanno evidenziato come l’esercito abbia dispiegato un numero sproporzionato dei propri effettivi in West Bank per assecondare i loro propositi espansionisti. Proprio alla vigilia dell’attacco di Hamas, tre battaglioni erano stati spostati da Gaza alla Cisgiordania in occasione della festività di Simchat Torah.

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