Nella delegazione anche il viceconsole Tutino. Le condanne di Italia e Francia. Tel Aviv apre a un cessate il fuoco: «Ma alla fine tutta la Striscia sarà nostra». Intanto continua lo stallo sugli aiuti umanitari a Gaza
Quando i primi colpi sono stati sparati in aria dall’esercito israeliano, il fuggi fuggi è stato generale. I diplomatici di tutto il mondo, una trentina, sono corsi verso le proprie auto. Lo stesso hanno fatto decine di giornalisti che stavano seguendo la delegazione internazionale a Jenin, in Cisgiordania.
Non era un tour turistico, ma una visita ufficiale organizzata con l’Autorità nazionale palestinese per valutare il quadro umanitario della città. I loro convogli erano ben identificabili. I colpi di avvertimento, ha spiegato a stretto giro un portavoce delle forze armate israeliane (Idf), sarebbero scattati perché i diplomatici si erano allontanati dal percorso previsto, entrando in un’area in cui non erano autorizzati a stare.
La condanna e le scuse
Si stavano avvicinando a un posto di blocco e al campo profughi. Tanto è bastato a Israele per sparare e spaventare diplomatici e rappresentanti internazionali. Nessun ferito, ma un episodio grave di cui, dopo le prime giustificazioni, si deve essere reso conto anche l’esercito di Tel Aviv che, in una nota stampa, si è detto «rammaricato» per quanto avvenuto e «per aver provocato l'inconveniente».
La lista dei paesi coinvolti con i loro diplomatici è lunga: Francia, Spagna, Belgio, Polonia, Germania e Danimarca tra gli europei, Egitto, Marocco, Brasile, Canada, Turchia, Cina, India, Messico e altri ancora per il resto del mondo. Anche l’Italia era presente, con Alessandro Tutino, vice console a Gerusalemme. Con cui il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha avuto subito un colloquio telefonico. Il governo di Roma è stato tra i primi a reagire. Una posizione dura, «inaccettabili» le minacce contro i diplomatici. Nel giro di pochi minuti Tajani stesso ha convocato l’ambasciatore israeliano in Italia Jonathan Peled, per avere «chiarimenti ufficiali» riguardo all’incidente. Una mossa concordata con Giorgia Meloni e che riguarda non solo Jenin, ma anche la situazione a Gaza. Al diplomatico, la priorità espressa dalla Farnesina è stata lo stop alle operazioni militari.
Stessa iniziativa presa da Parigi, Madrid e Lisbona con i rispettivi alti diplomatici. Ma le condanne sono arrivate anche da altri, Germania, Irlanda, Belgio, Turchia. L’Unione Europea, tramite l’Alta rappresentante Kaja Kallas, ha invocato un’indagine. «Israele è firmatario della Convenzione di Vienna che impone l'obbligo di garantire la sicurezza di tutti i diplomatici stranieri», ha sottolineato Kallas. Per le autorità palestinesi, si è trattato di un «atto deliberato e illecito» che ha costituito «una palese violazione del diritto internazionale».
Lo stallo sugli aiuti
Un diritto internazionale invocato dall’Ue anche per quanto riguarda la questione degli aiuti umanitari a Gaza. Al centro del voto di martedì in Europa sulla revisione dell’articolo 2 dell’accordo di associazione con Israele. «La situazione è catastrofica», ha dichiarato il commissario Ue Glenn Micallef, nonostante - dopo mesi - domenica sia arrivato il via libera di Israele per una ripresa dell’ingresso di aiuti umanitari nella Striscia.
Nei primi due giorni sono entrati solo 93 camion, ma secondo l’Onu ancora non hanno avuto la possibilità di distribuire gli aiuti. Numeri comunque lontanissimi dai circa 600 che facevano il loro ingresso ogni giorno nella Striscia durante la tregua. «Sono una goccia nell’oceano», secondo Micaleff. Per Medici senza frontiere si tratta di «quantità ridicolmente inadeguate» di «una cortina fumogena per fingere che l’assedio sia finito».
Ieri ne sono entrati altri di camion. Per superare il confine con la Striscia, hanno dovuto evitare il blocco di attivisti israeliani di estrema destra che hanno provato a ostruire la strada verso il valico merci di Kerem Shalom. E in queste ore dovrebbero vedersi altri tir, con aiuti urgenti dagli Emirati Arabi Uniti, dopo un accordo raggiunto con Israele. Ma sono ancora fermi nella zona di carico dopo il confine.
Dopo giorni di stallo e mesi di blocco, serve quindi un’accelerazione nella distribuzione di beni e cibo. Un invito giunto anche da Papa Leone XIV. Ma il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha puntato il dito contro Hamas che «saccheggia una parte significativa degli aiuti e vende il resto a prezzi gonfiati».
Raid e tregua
Se i camion entrano con il contagocce, i raid delle Idf su Gaza sono proseguiti in maniera diffusa. Solo ieri le vittime tra la popolazione sarebbero state decine, secondo le autorità della Striscia. Gli attacchi sono stati vari, i colpi di artiglieria sono piovuti anche contro l’ospedale al-Awda, nel nord, uno degli ultimi centri medici operanti nell’enclave. In tarda serata, durante la prima conferenza dopo cinque mesi, Netanyahu ha timidamente aperto a una tregua: se ci sarà la possibilità – ha detto – Israele è preparato per un cessate il fuoco temporaneo in cambio degli ostaggi rimasti. Sarebbero 20 quelli vivi, 38 i morti.
Le condizioni per concludere il conflitto comprendono, oltre al ritorno dei rapiti, la deposizione delle armi da parte di Hamas, l’esilio della sua leadership, una Gaza smilitarizzata. L’obiettivo, o la minaccia, però rimane uguale: «Alla fine tutta la Striscia sarà sotto il controllo di Israele».
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