Esiste una funzione pedagogica delle teologie politiche che si rivela nella sua massima potenza nei momenti di crisi, proprio quando le comunità sono chiamate a interrogarsi sui loro destini collettivi. Quando a questi dibattiti si intrecciano quelli sul nucleare ecco che entrano in gioco prospettive escatologiche che arrivano a evocare l’azione del demonio.

Può apparire un contesto datato per i commentatori occidentali, comodamente seduti sui divani della secolarizzazione. E se i riferimenti al “grande Satana” arrivano non solo dall’islamo-fascismo degli ayatollah ma, dopo gli adattamenti nord-coreani e venezuelani, continuano a diffondersi, non resta che riflettere.

Dividere il popolo

A venirci in aiuto il patriarca di Mosca e di tutte le Russie, Kirill che proprio ieri pomeriggio ha trovato il tempo per tenere un nuovo sermone al termine della funzione nella chiesa cattedrale di Cristo salvatore a Mosca.

L’adesione di Kirill alla narrazione putiniana è una storia, volendo essere distaccati, davvero poco edificante. Ucraina e Russia sono unite da un destino comune «un solo popolo, legato dal destino storico» con il fonte battesimale di Kiev a fare da collante «siamo uniti dalla nostra fede, dai nostri santi, dalla speranza comune, dalle stesse preghiere. Cosa può separarci?».

Riprendendo il linguaggio di Vladimir Putin, che vede nel mondo occidentale «l’impero delle bugie», Kirill evidenzia come il «nemico del genere umano, attraverso specifiche persone e organizzazioni, getta bugie nelle relazioni fra i nostri popoli e sulla base di quella bugia sviluppa un conflitto».

L’autore della grande bugia ai danni del popolo russo, come copione consolidato del manuale del cristianesimo anti internazionalista, sarebbe il demonio. È il demonio (il “grande Satana”) a far entrare in guerra due popoli fraterni. Anzi in realtà, sostiene Kirill, «un solo popolo, il popolo russo».

È quel demonio che ha «armato» i fratelli affinché entrassero in conflitto con i «fratelli dello stesso sangue e della stessa fede» contribuendo così a creare i «prerequisiti per l’espansione del conflitto militare».

Teologia politica post sovietica

Kirill, con questo ulteriore intervento, conferma il suo ruolo di supremo interprete della teologia politica post sovietica, in un contesto in cui si è dato il compito di ricostruire una narrazione pubblica che vede nella Russia il veicolo di resistenza rispetto all’avanzata del demonio e alla possibilità della fine della civiltà.

Sarà interessante osservare le reazioni dei prossimi giorni, soprattutto quelle interne al mondo ortodosso. Il primate metropolita Jean de Doubna, arcivescovo delle chiese ortodosse di tradizione russa in Europa occidentale, proprio ieri ha pubblicato una lettera in cui chiede a Kirill di intervenire per fermare la guerra.

Tuttavia, non si è limitato a questo invito. Ha anche criticato il discorso di Kirill dello scorso 6 marzo: «Santità, nella sua “omelia” per la domenica del perdono, pronunciata il 6 marzo nella cattedrale patriarcale di Cristo salvatore, lei sembra voler giustificare questa guerra di aggressione crudele e omicida come “un combattimento metafisico”, in nome del “diritto di stare dalla parte della luce, dalla parte della verità di Dio, di ciò che la luce di Cristo ci rivela, la sua parola, il suo Vangelo”. Non posso sottoscrivere una tale interpretazione del Vangelo. Nulla può mai giustificare che i “buoni pastori”, che noi dobbiamo essere, cessino di essere “artigiani di pace” qualunque siano le circostanze. Santità, umilmente, con il cuore pesante, la prego di fare tutto il possibile per porre fine a questa terribile guerra che sta dividendo il mondo e seminando morte e distruzione».

Aveva forse davvero ragione Sergei Chapnin, già direttore della rivista del patriarcato di Mosca, che in un suo recente intervento su Kirill si chiedeva «Chi ha davvero bisogno di un patriarca così?». Forse Putin?

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