Al suo secondo e ultimo giorno di una visita storica – la prima a Pechino di un Segretario di stato Usa dal 2018 – ieri Antony Blinken è stato ricevuto da Xi Jinping. La mossa del presidente cinese – dopo mesi in cui i due paesi si sono scambiati sanzioni e rappresaglie e i rispettivi eserciti hanno sfiorato un paio di collisioni nel Pacifico – segnala la volontà di Pechino di allentare la tensione. Ma la rivalità tra la potenza egemone e quella in ascesa è inalterata. Semplicemente, nelle ultime 48 ore, le due leadership ne hanno potuto discutere a lungo, in un clima più disteso.

Dopo le cinque ore e mezza di colloquio del giorno precedente con il suo omologo Qin Gang, l’incontro di Blinken con Xi è stato definito da quest’ultimo «sincero e approfondito». Xi ha presentato la Cina come una potenza «responsabile» dalla quale, assieme agli Stati Uniti, dipende «il destino dell’umanità».

Può dunque ripartire il dialogo (nelle prossime settimane dovrebbero sbarcare a Pechino altri ministri Usa), ma ieri Xi ha voluto sottolineare che «la Cina rispetta gli interessi degli Stati Uniti e non sfiderà né sostituirà gli Stati Uniti. Allo stesso modo, anche gli Stati Uniti devono rispettare la Cina e non lederne i diritti e gli interessi legittimi». Questo, per Pechino, vuol dire che vanno frenati il sostegno politico e militare statunitense al governo taiwanese nonché le pressioni sulle corporation dei paesi alleati per negare alla Cina tecnologie necessarie al suo sviluppo.

Xi ha annunciato che Pechino e Washington hanno raggiunto un accordo su «alcune questioni specifiche». Nei prossimi giorni potrebbero essere cancellate le sanzioni Usa contro il ministro della difesa Li Shangfu e rimosse alcune limitazioni agli scambi di studenti e ricercatori. Ma, come ha rimarcato Blinken, «i progressi sono difficili e richiedono tempo, non sono il risultato di un viaggio, di una conversazione».

Li Qiang a Berlino e Parigi

Mentre Xi ribadiva a Blinken le linee rosse della sua Cina, Li Qiang ha iniziato un’importante trasferta in Europa. Germania über alles, seconda la Francia, l’Italia assente. Le tappe del primo viaggio nel vecchio continente del nuovo premier riflettono le priorità di Pechino nell’Unione europea, che vedono il nostro paese sempre più irrilevante.

La missione, partita ieri da Berlino, rientra nella strategia di rassicurare l’Ue per arginare chi (come la presidente della Commissione, Ursula von del Leyen) vorrebbe nei confronti della Cina un approccio molto simile a quello degli Stati Uniti. L’esecutivo guidato da Li si è seduto di fronte a quello tedesco al completo, per la settima edizione delle consultazioni intergovernative sino-tedesche.

Un “privilegio” che la Cina accorda solo al suo primo partner nell’Ue, un paese dove però il deficit commerciale con Pechino, schizzato a 84 miliardi di euro nel 2022, e la quasi-alleanza Mosca-Pechino, hanno costretto la coalizione semaforo guidata da Olaf Scholz a sollevare il tappeto di Angela Merkel, sotto al quale erano nascoste Taiwan, la repressione delle minoranze musulmane nello Xinjiang e altre annose questioni che per i tedeschi ora sembrano diventate dirimenti.

Una settimana fa il governo di Berlino ha pubblicato la sua prima Strategia di sicurezza nazionale. Nel documento si riafferma che la Cina è, al tempo stesso, un «partner, un concorrente e un rivale sistemico». Primo leader europeo a recarsi (nel novembre 2022) da Xi Jinping dopo la sua seconda rielezione a segretario generale del partito comunista, Scholz si è espresso più volte contro il decoupling dalla Cina.

Per effetto delle tensioni geopolitiche e della pandemia, la Germania ha avviato un parziale de-risking, con le sue imprese che stanno trasferendo la produzione in altri paesi asiatici. Le grandi multinazionali come Siemens, Basf, e altre continuano però a fornire un contributo fondamentale allo sviluppo tecnologico-manifatturiero della Cina.

La coalizione semaforo (socialdemocratici, verdi, liberali) ritiene che il mondo stia diventando multipolare, un concetto riassunto nel saggio The Global Zeitenwende pubblicato da Scholz su Foreign Affairs. Se per Berlino il legame con gli alleati della Nato non si discute, nello stesso tempo in questa «svolta globale» è vitale mantenere aperti i commerci internazionali per l’export tedesco, e su questo si registra una convergenza oggettiva con le esigenze della Cina.

Meloni senza strategia

Le intese economiche siglate durante le visite a Pechino di Scholz e, nell’aprile scorso, del presidente francese Emmanuel Macron, fanno ritenere alla leadership di Pechino che l’intera Ue possa essere spinta verso una posizione di neutralità, che possa bilanciare le pressioni Usa sugli “interessi chiave” della Cina: Taiwan, il containment tecnologico, la repressione del dissenso.

Anche la Francia di Macron, che parla di «autonomia strategica» dell’Ue, riveste una grande importanza per la Cina. Per questo Li parteciperà al vertice per un nuovo Patto finanziario globale che si svolgerà a Parigi giovedì e venerdì prossimi, al quale, oltre a Macron, saranno presenti Scholz, von der Leyen, il segretario generale delle Nazioni unite, Antonio Guterres, e diversi leader africani. Il summit si propone l’ambizioso obiettivo di una «revisione dovuta del sistema finanziario internazionale 80 anni dopo Bretton Woods».

In direzione opposta, e, apparentemente, senza strategia, si muove il governo presieduto da Giorgia Meloni. Giovedì scorso l’esecutivo ha utilizzato il golden power per ridurre il peso all’interno della Pirelli degli azionisti di maggioranza, i cinesi di Sinochem. Dovrà poi gestire la patata bollente del memorandum d’intesa sulla nuova via della Seta siglato dal Conte I nel 2019, che la presidente del Consiglio in campagna elettorale ha definito un «grave errore» ed è intenzionata a non rinnovare al suo scadere alla fine dell’anno. Provvedimenti nei confronti del decimo destinatario dell’export italiano che sembrano presi per accontentare amici e compiacere alleati, piuttosto che in seguito a una riflessione sulle relazioni Italia-Cina.

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