La Cina è pronta a invocare la sua Legge anti secessione e a usare la forza per raggiungere la «riunificazione» di Taiwan. Così martedì il ministro degli Esteri di Pechino, Wang Yi, ha risposto al presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, che domenica scorsa aveva dichiarato che la sua amministrazione è disposta a combattere per difendere l’isola.

La replica di Wang è arrivata da New York, dove – a margine dei lavori dell’Assemblea generale delle Nazioni unite – ha incontrato Henry Kissinger, il novantanovenne ex segretario di stato americano che non si stanca di ammonire le grandi cancellerie che – se non gestita con la massima prudenza – la rivalità strategica Cina-Stati Uniti può esplodere in un conflitto, con Taiwan a fare da detonatore.

«C’è un vecchio detto in Cina: è meglio perdere mille soldati che un pollice di territorio», ha detto Wang all’anziano diplomatico che nel 1971, con il suo viaggio segreto a Pechino, preparò la stretta di mano tra Mao Zedong e Richard Nixon dell’anno successivo, la visita con la quale iniziò il rapprochement, il percorso di normalizzazione delle relazioni tra Cina e Stati Uniti culminato nel 1979 nel riconoscimento della Repubblica popolare da parte di Washington. Gli Stati Uniti, contestualmente, cancellarono i rapporti diplomatici ufficiali con Taiwan.

«In caso di violazione della Legge anti secessione, la Cina intraprenderà azioni risolute per salvaguardare la sovranità e l’integrità territoriale del paese», ha aggiunto Wang. Approvata dal parlamento di Pechino nel 2005, la Legge anti secessione prevede l’impiego della forza in caso di dichiarazione d’indipendenza di Taiwan, o di un evento che potrebbe portare alla separazione dell’isola dalla Cina, o nel caso si sia rivelata impossibile una «riunificazione pacifica».

Cambio di strategia

Secondo il capo della diplomazia di Pechino, «pervenire alla riunificazione pacifica è il nostro più grande desiderio e faremo del nostro meglio per raggiungerlo. Ma più incontrollate si fanno le spinte verso la “indipendenza di Taiwan”, meno è probabile la risoluzione pacifica della questione».

La leadership cinese parla a Kissinger affinché Biden intenda, e quello di Wang suona come un avvertimento da prendere sul serio. Finora lo stesso Xi Jinping – che pure ha inserito Taiwan nella sua strategia del “grandioso risveglio della nazione cinese” – ha sempre auspicato una “riunificazione pacifica” alla Cina continentale dell’isola, dove la maggior parte della popolazione è favorevole al mantenimento dello status quo.

In base a questo schema, la “riunificazione” avrebbe potuto realizzarsi concedendo a Taiwan le autonomie di quel principio “un paese, due sistemi” che a Hong Kong è rimasto solo sulla carta, obliterato di fatto dallo scontro tra il movimento pro democrazia e la reazione accentratrice e autoritaria di Xi.

Ma ora Pechino lascia intendere di poter cambiare strategia, mostra di non poter tollerare i cambiamenti impressi negli ultimi mesi alla politica americana su Taiwan. Le reiterate dichiarazioni del presidente Biden sull’intervento militare degli Stati Uniti per difendere Taiwan che contraddicono la “ambiguità strategica” al centro del Taiwan Relations Act del 1979.

Poi la visita a Taipei il mese scorso della terza carica dello stato, Nancy Pelosi, e il nuovo Taiwan Policy Act che avanza al Congresso e che prevede l’inserimento di Taiwan tra i maggiori alleati degli Usa dopo quelli della Nato (al pari di Israele, Australia, Giappone e Corea del Sud). E a qesto vanno aggiunti gli aiuti militari a Taipei per 4,5 miliardi di dollari in quattro anni, l’impiego della bandiera della “Repubblica di Cina” negli incontri tra funzionari taiwanesi e statunitensi, le sanzioni per alti funzionari del Pcc e per le principali banche cinesi in caso di “ostilità” contro Taiwan.

Incontro Xi-Biden?

Pechino pretende l’immediato ritiro del Taiwan Policy Act e vuole che gli Stati Uniti tornino sui loro passi, dichiarando fedeltà alla loro vecchia politica che “prende atto” (ma non riconosce ufficialmente) che esiste una sola Cina, la Repubblica popolare cinese, e che dunque la Repubblica di Cina (la denominazione di Taiwan utilizzata dai 14 stati che la riconoscono ufficialmente) sarebbe un incidente della storia.

Wang ha chiarito che «la priorità assoluta ora è gestire in maniera adeguata la questione taiwanese che, altrimenti, avrà un impatto devastante sulle relazioni Cina-Stati Uniti». Urge una de-escalation in vista di un faccia a faccia Xi-Biden che potrebbe concretizzarsi a margine del prossimo vertice del G20 di Bali (15-16 novembre).
 

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