Recinzioni sormontate da filo spinato, sensori e telecamere di sorveglianza saranno disseminati per 260 chilometri lungo il confine con la Russia. Il progetto, presentato dalla guardia di frontiera finlandese, richiederà centinaia di milioni di euro e quattro anni di lavoro. L’obiettivo è assicurare «un controllo dei confini adeguato negli anni a venire», spiega la premier Sanna Marin dopo aver annunciato l’ampio sostegno politico al piano, trasversale a maggioranza e opposizione.

Fermare gli arrivi

Oltre 1.300 chilometri, dalla Norvegia al mar Baltico. Nessun paese europeo condivide una frontiera così lunga con la Federazione russa. Il nuovo muro ne coprirà appena un quinto, in corrispondenza dei punti più a rischio di una futura “migrazione di massa” da est.

Dal 24 febbraio, lo scoppio della guerra in Ucraina ha spinto nel paese scandinavo circa 40mila russi, in fuga dalla chiamata alle armi, dalle sanzioni e dagli effetti di un conflitto via via più esteso e imprevedibile. Dopo la mobilitazione parziale, annunciata il 21 settembre scorso dal Cremlino, il governo a guida socialdemocratica aveva imposto il divieto di ingresso nel paese ai “turisti russi”. 

Il timore di un esodo massiccio orchestrato da Mosca come forma di guerra ibrida unisce centrosinistra e centrodestra nel riconoscere la sicurezza nazionale come priorità politica assoluta. Ma l’approvazione finale e l’inizio dei lavori potrebbero essere rinviati ad aprile, con la formazione del nuovo parlamento.

Il futuro nella Nato

La coesione dei partiti intorno alla scelta di “proteggere” il confine orientale rispecchia il sentimento del paese: sempre più distante dalla storica posizione di equidistanza e sempre più prossimo all’inserimento nell’alleanza atlantica.

La “finlandizzazione” è un termine che gli storici del Novecento hanno assurto a sinonimo di una neutralità forzata dalla necessità di conservare l’indipendenza, messa a rischio nel confronto con un grande potenza vicina. La politica estera di Helsinki ha cambiato corso il 28 giugno di quest’anno quando la Turchia ha ritirato il proprio veto all’ingresso di Svezia e Finlandia nella Nato.

In cambio il presidente Recep Tayyip Erdogan aveva preteso piena collaborazione «sull’export di armi e sulla lotta al terrorismo», con il trasferimento in prigione dei combattenti curdi – essenziali nella battaglia occidentale contro l’Isis – protetti dai due paesi. 

Oggi la loro estradizione immediata è la condizione posta da Ankara per la ratifica della domanda di adesione, che manca anche della firma ungherese. Un ritardo che, secondo il ministro degli Esteri finlandese, Pekka Haavisto, mette «in pericolo la sicurezza dell’intera regione nordica». 

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