Per scongiurare l’elezione di Joe Biden sono in corso non una ma due battaglie legali da parte repubblicana. La prima è quella preparata prima delle elezioni dal team ufficiale della campagna di Trump. L’obiettivo è pragmatico: fare in modo che negli stati in bilico la differenza di voti sia talmente piccola da provocare per legge il riconteggio manuale.

È un modo per allungare i tempi, evitare una rapida proclamazione dei risultati e oltrepassare l’8 dicembre, data in cui gli stati dovrebbero ufficializzare i risultati. È una tattica rischiosa, perché implica la moltiplicazione delle cause, ma è una via accettabile dal punto di vista legale, non eversiva e con qualche margine di possibilità. Ad oggi sono state intentate un numero imprecisato di denunce.

L’altra campagna è quella condotta da Rudy Giuliani, l’ex sindaco di New York e avvocato personale di Trump. Giuliani contesta apertamente le scelte del team ufficiale e ha litigato furiosamente con il suo capo.

La conferenza stampa in cui gli è colata la tinta dei capelli sul viso, sequel di quella tenuta in uno squallido retrobottega di Philadelfia, è il risultato del diverbio. Come ha detto, non occorre cercare prove per presentarle in tribunale: le elezioni sono totalmente falsate, mediante artefatta produzione di voti per Biden e cancellazione di quelli per Trump.

La tattica di Giuliani (e di altri con lui) punta a creare il caos: un clima di totale sospetto in modo da pretendere dai Congressi degli stati di non confermare i grandi elettori scelti dal voto popolare ma di eleggerne di diversi, favorevoli a Trump. L’elezione del presidente rimane formalmente indiretta: gli elettori votano i grandi elettori che poi, in una cerimonia convenzionale, votano il presidente.

La realtà è che i legali che devono materialmente presentare e difendere le cause intentate vengono lasciati in preda all’improvvisazione. I media stanno andando a nozze con i numerosi infortuni subiti in tribunale. Ad oggi solo una causa è stata vinta e tutte le altre rigettate.

Le televisioni si divertono a raccontare gli episodi più singolari. Un elemento comune è la mancanza assoluta di prove: tutti i casi denunciati non hanno retto a semplici verifiche. I giudici stanno perdendo la pazienza e pongono in rilievo che le motivazioni portate in giudizio sono spesso “per sentito dire” o mere speculazioni basate sull’ignoranza del processo elettorale.

Diversi complotti

Sono molte le teorie di complotto discusse in aula. C’è quella detta SharpieGate dal nome del famoso pennarello che tutti usano in America, secondo la quale le schede marcate con il feltro non sono leggibili dalle macchine elettroniche di conteggio. Alla prova pratica ciò si è dimostrato falso.

Anche la teoria del DominionGate, secondo cui la Dominion voting systems, società di software elettorale, avrebbe alterato il conteggio dei voti in Michigan e Georgia, è smentita dai fatti ma continua a essere invocata. Alcuni legali hanno ammesso di aver raccolto le “prove” mediante petizioni online non verificate e piene di spam.

Una tesi molto frequente da parte repubblicana è quella di non aver potuto “significativamente” osservare il voto ma le testimonianze degli osservatori di partito le hanno smentite. Tuttavia il termine “significativamente” è talmente ambiguo e vago da permettere di continuare la presentazione di denunce su base indiretta, cioè dei “si dice che”. Per ora i querelanti si sono visti respingere tali denunce, ma la battaglia continua. Gran parte dell’attenzione si è concentrata sul voto per posta in tre stati: in Arizona, nel Michigan e in Pennsylvania.

Il caso dell'Arizona è stato già archiviato ma quelli del Michigan e della Pennsylvania sono ancora aperti. I funzionari del team legale descrivono il loro approccio come “incrementale” con l’obiettivo di forzare i riconteggi, mentre Giuliani insiste sull’accusa di frode elettorale diffusa, facendo breccia in molti.

È stata una tattica preparata in anticipo, perché si sapeva già che il Covid avrebbe moltiplicato i voti postali. Questi ultimi sono in prevalenza democratici, coloro che al Covid ci credono e lo temono.

Una parte dei repubblicani rimane invece sostanzialmente negazionista, come Trump. Gli unici favoriti dal prolungarsi di battaglie giudiziarie e comunicative sono le migliaia di giovani precari assunti dalle due campagne e prossimi al licenziamento. Almeno per loro una buona notizia: finché ci sarà bisogno di personale, continueranno ad essere pagati.

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