In tempo di guerra la propaganda è uno strumento usato per legittimare le azioni dei governi e fornire una narrazione, a volte distorta, del conflitto. Un tempo le radio nazionali trasmettevano a reti unificate messaggi dei presidenti e capi di governo che fornivano aggiornamenti su cosa accadeva al fronte. Oggi la comunicazione di guerra passa attraverso gif, emoji, video e foto postate sui social network direttamente dagli account ufficiali delle forze armate nazionali. L’obiettivo è catalizzare il consenso dietro le offensive militari e creare schieramenti all’interno dell’opinione pubblica. La questione israelo-palestinese è significativa in questo senso e polarizza l’opinione pubblica mondiale.

Hamas

Per anni, però, la propaganda di Hamas ha creato un gap con la narrazione mediatica fornita da Israele servendosi spesso di bambini e riferimenti religiosi. Già il nome dell’organizzazione, che tradotto dall’arabo sta per Movimento islamico di resistenza contiene riferimenti semantici che hanno un forte significato per i palestinesi. Nella guerra a Israele i leader dell’organizzazione islamista usano una linguaggio popolare e confessionale. I discorsi d’odio che invitano alla violenza vengono pronunciati nelle moschee e di fronte a migliaia di persone. Spesso viene usata una cadenza ritmica nel pronunciare le parole tipiche degli imam durante il sermone dei venerdì di preghiera, che affida un connotato sacro alle affermazioni. Oggi i portavoce di Hamas diffondono video attraverso vari account su Twitter e usano anche canali televisivi. Più volte si vedono militanti dell’organizzazione che coperti in viso innescano i famosi razzi Qassam, diventati il simbolo dell’armamentario di Hamas. Nel 2014 l’Istituto di ricerca del medio oriente e dell’Asia del sud ha riportato alcune delle linee guida strategiche che Hamas ha diffuso sia agli attivisti che ai giornalisti. Tra queste, si chiede che le corrispondenze iniziassero per esempio, con la frase: «In risposta ai crudeli attacchi israeliani». Vengono forniti anche consigli per evitare i ban su Facebook. Se Hamas ha continuato con lo stesso approccio, in cui Israele viene anche paragonato al regime nazista di Hitler, l’esercito israeliano ha implementato una nuova strategia emersa nell’attuale conflitto a Gaza.

Guardian of the walls

Per comprendere la caratura dell’impianto mediatico delle Forze armate israeliane basta leggere il nome dato all’operazione militare partita lo scorso 10 maggio: “Guardian of the Walls”. Questo richiama sia al Muro del pianto, quindi vede l’esercito come il guardiano di uno dei luoghi più sacri per gli ebrei, ma fa anche riferimento al muro che circonda la Cisgiordania. Infatti, la questione territoriale è la più sentita e il nome “Guardiano delle mura” assume una valenza simbolica per gli israeliani, ed è vista, invece, come una provocazione per i palestinesi. Quest’ultimi, infatti, vedono il muro come elemento di segregazione. Il nome dato da Hamas alla sua offensiva è “Al Quds sword” ovvero “la spada della città santa” riferendosi a Gerusalemme. Due nomi che richiamano le guerre Crociate combattute in nome delle religioni.

La narrazione di una guerra è tutto e Israele lo fa a colpi di tweet. Il protagonista principale è l’account ufficiale Twitter delle forze armate nazionali (Idf, Israel defense forces). Foto, video, gif e messaggi vengono postati di continuo, anche in lingue diverse: inglese, russo, spagnolo ed ebraico. A capo dei social media ci sono giovani professionisti come Zohar Razli, una giovane ragazza a capo dei social internazionali dell’Idf nell’agosto del 2020 dopo aver lavorato per anni nell’aviazione militare israeliana, o Netanel Benami che dirige il team, composto da 15 membri, il quale ha creato contenuti che nel 2020 hanno ricevuto 96 milioni di interazioni.

I video

«Perché Gaza sta soffrendo?» è questo il titolo di uno dei video postati online dall’account ufficiale dell’esercito israeliano in questa offensiva militare. «Immagina la tua casa circondata dal terrorismo. Immagina che il tuo quartiere è il posto dove i terroristi producono, immagazzinano e lanciano le loro armi. Questa è la realtà a Gaza», si legge nelle scritte di accompagnamento al video sullo sfondo di una musica da film d’azione. Il tutto è condito con scritte in risalto e immagini riprese da droni e dai video di Hamas stesso. «Quando lanciano razzi contro i civili israeliani, Hamas e la Jihad islamica si nascondono nelle aree civili e mettono in pericolo la vita di milioni di civili israeliani», si legge nel video prima di iniziare una digressione sulle precauzioni prese dalle forze armate israeliane per non colpire i civili. «Mentre Israele combatte per proteggere i civili, Hamas li usa per proteggere sé stesso» recitano le scritte del video che è stato visto più di 236mila volte. Alla fine c’è anche una “call to action” degna dei migliori social media manager che invita l’utente alla condivisione del contenuto.

Un altro video, che ha raggiunto oltre 631mila visualizzazioni si serve invece della stessa propaganda di Hamas per rimarcare la pericolosità dell’organizzazione terroristica. «Non ci credete? Ascoltate lo stesso Hamas allora», si legge nell’introduzione al video lungo poco più di due minuti. Le immagini scorrono riportando i discorsi dei leader islamisti pronunciati dal palco davanti a grandi folle. Sono discorsi che incitano all’uccisione dell’ebreo, all’azione militare e al martirio. Dopodiché si legge: «Il loro obiettivo non può essere più chiaro di così, Hamas non si fermerà prima che sia fermato. È qui che entriamo in gioco noi».

L’auto celebrazione

«Non ci scuseremo per aver salvato vite» è la frase con cui si conclude un tweet dell’esercito israeliano con in allegato un video sull’Iron Dome, il sistema antimissilistico israeliano che intercetta i razzi lanciati da Hamas. Da sempre, infatti, la propaganda di guerra è caratterizzata dall’auto celebrazione delle proprie capacità militari e in questo caso l’efficacia del sistema aereo di difesa è stata sottolineata anche da vari media internazionali. In circa 10 giorni di conflitto l’Iron Dome è riuscito a intercettare, facendoli brillare in aria, oltre l’85 per cento dei razzi lanciati da Gaza. Il video in questione è una spiegazione di come funziona il sistema e delle sue capacità tecniche. Questa volta c’è un voice over in inglese di sottofondo che guida lo spettatore; oltre alla comparizione di due soldatesse immerse nelle loro mansioni. Le scritte sono brevi e appaiono in varie parti del video, che, come quelli precedenti, chiama l’utente all’azione chiedendo la condivisione del contenuto.

La risposta alle accuse

I tweet rispondono colpo su colpo anche alle condanne della comunità internazionale che in questi giorni ha chiesto più volte di limitare le vittime civili. Stando agli ultimi dati del ministero della salute palestinese sono 65 i bambini rimasti uccisi nei raid dell’aviazione israeliana. Per cercare di scrollarsi di dosso le critiche internazionali l’esercito ha pubblicato video in cui si vede l’evacuazione dei civili prima dei bombardamenti. «Noi avvertiamo in anticipo chi si trova dentro gli edifici e gli forniamo tempo sufficiente per evacuare», si legge in un tweet prima di mostrare le immagini. Sono video postati con l’intento di continuare a legittimare l’offensiva militare.

C’è anche un messaggio diretto alle Nazioni unite. In un video da quasi 300mila visualizzazioni, l’esercito rivolge una domanda chiara all’Onu. «Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite ha chiamato un meeting per discutere di ciò che accade in Israele. Si ricorderanno che il 70 per cento di noi è sotto il fuoco nemico? Si ricorderanno che se vivessero qui il 70 per cento della loro famiglia dovrà correre verso un rifugio? Nessun altro paese tollererebbe il lancio di razzi sui civili. Perciò non tolleratelo neanche per Israele».

Il video è incalzante e crea un pathos fino alla fine attraverso anche una traccia audio in crescendo e immagini in cui si vedono cittadini israeliani che corrono verso i rifugi. L’apice della comunicazione social israeliana è raggiunto da un video quiz che fa vedere i danni provocati dai razzi di Hamas e pone una domanda: «Sapendo questo, cosa faresti?». Le risposte sono due: «Niente, permettere ai terroristi di distruggere le città israeliane»; oppure «colpire i terroristi che lanciano i razzi?».

Infine, merita di essere menzionato il thread di tweet del ministero degli Esteri Israeliano caratterizzato solo dalle emoji di un razzo. E che ha attirato numerose critiche sui social perché visto come una provocazione. «Giusto per darvi una prospettiva, questo è il totale dei razzi sparati contro i civili israeliani. Ognuno ha lo scopo di uccidere». E ancora: «Ogni razzo ha un indirizzo. E se quell’indirizzo fosse il tuo?»

Insomma, è la guerra 2.0 che si combatte sul terreno e si alimenta sui social.

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