Si complicano ulteriormente i progetti del governo italiano di inaugurare una nuova stagione di rapporti con il continente africano fin qui caratterizzati da vaghezza e scarsi risultati. Dopo aver annullato all'ultimo minuto il vertice Italia-Africa inizialmente previsto per il 5 e il 6 novembre, la diplomazia italiana ha anche rinviato il forum Dialoghi Mediterranei (Med Dialogues), un convegno annuale organizzato dal Ministero degli Esteri e dall’Ispi, indetto dal 2 al 4 novembre. Le notizie del doppio rinvio, passate sottotraccia nella stampa italiana e rilanciate dal sito Africa Intelligence, sono state annunciate dalla Farnesina in due note rispettivamente del 12 e del 18 ottobre scorsi. Le date dei possibili nuovi appuntamenti restano indefinite: si va da un vago “inizio del prossimo anno” per il Vertice Italia-Africa a una “data da destinarsi” per i Dialoghi mediterranei.

Le spiegazioni ufficiali fanno risalire i posticipi al precipitare degli eventi mediorientali e alla necessità  di «capire meglio il quadro della situazione internazionale che sta evolvendo», come ha dichiarato la premier Giorgia Meloni in occasione della sua recente visita in Mozambico lo scorso 13 ottobre.  Dietro alla frettolosa decisione, in realtà, ci sarebbe il timore di non riuscire a gestire i malumori di tanti stati africani mediorientali e dei loro rappresentanti verso le posizioni decisamente filo-israeliane del governo italiano. Vari paesi, istituzioni e popolazioni del continente, infatti, dopo aver condannato – con varie sfumature – le atrocità compiute da Hamas in Israele, si sono schierati nettamente dalla parte dei palestinesi e contro le operazioni portate avanti dalle forze armate israeliana su Gaza.

Stati come Sudafrica («L’attacco di Hamas è scaturito dalla continua occupazione illegale della terra palestinese, dalla continua espansione degli insediamenti, dalla profanazione della moschea di Al Aqsa e dei luoghi sacri cristiani»), Tunisia («Riaffermiamo piena solidarietà al popolo palestinese, e ribadiamo il diritto a reclamare le terre occupate») e altri, hanno preso chiaramente posizione. Ma anche l’Unione Africana, dopo aver esecrato le operazioni di Hamas, ha fatto capire da che parte stava: «La negazione dei diritti fondamentali del popolo palestinese – ha dichiarato il 9 ottobre il presidente della Commissione, il ciadiano Moussa Faki Mahamat - è la causa principale della permanente tensione». Successivamente, lo scorso 17 ottobre, sempre Mahamat ha rincarato la dose: «Non ci sono parole – ha denunciato su X -  per esprimere appieno la nostra condanna per il bombardamento odierno di un ospedale di Gaza da parte di Israele, che ha ucciso centinaia di persone. Prendere di mira un ospedale, considerato un rifugio sicuro secondo il diritto internazionale umanitario, è un crimine di guerra».

Ci sono poi dichiarazioni ancora più filo-palestinesi e anti-israeliane di vari altri paesi in Africa, tra i quali spiccano quelle dell’Algeria: «Condanniamo fermamente i brutali attacchi aerei delle forze di occupazione sioniste nella Striscia di Gaza, che hanno causato molte vittime, tra cui bambini e donne», il cui presidente Abdelmadjid Tebboune sarebbe dovuto essere ospite d’onore proprio nei MED Dialogues.

I due summit, quindi, sui quali da mesi si andavano concentrando molti sforzi di comunicazione da parte di Palazzo Chigi, scompaiono in un colpo solo dall’agenda del governo e vanno a rinforzare i dubbi di molti attorno al Piano Mattei per l’Africa. Sbandierato da gennaio come una assoluta «priorità per l’Italia» oltre che una policy rivoluzionaria nel rapporto tra il nostro paese e il continente, è rimasto nella più totale vaghezza. Quel «modello di cooperazione non predatorio, in cui entrambi i partner devono poter crescere e migliorare» che Meloni e Tajani propugnano da oltre una decina di mesi, attende ancora di essere declinato. Il vertice previsto per i primi di novembre avrebbe dovuto chiarire contenuti e strategie e il rinvio conferma una road map perlomeno incerta.

Nel frattempo Italia e Ue devono registrare un clamoroso fallimento nella politica di partnership con i paesi nordafricani per le politiche di contenimento dei flussi migratori. Il Presidente tunisino Saied, dopo aver fatto sapere di non accettare il piano di sostegno stabilito dall’Unione Europea, ha sdegnosamente rispedito al mittente i 60 milioni della prima tranche erogata (in tutto erano previsti  900 milioni) bollandoli come «atto di elemosina».

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