I nuovi venti di guerra che soffiano dal Medio Oriente mettono in secondo piano la sponda meridionale del Mediterraneo e la questione migratoria, su cui la premier Giorgia Meloni ha investito le sue energie diplomatiche con l’ancora nebuloso piano Mattei.

La cui stesura, però, viene rimandata di nuovo e per l’ennesima volta: il piano doveva essere presentato a novembre, ora Meloni ha ammesso che slitterà a gennaio. «Per capire meglio il quadro della situazione internazionale che si sta evolvendo», spiega la premier da Maputo al termine dell’incontro con il presidente del Mozambico, Filipe Nyusi, con cui ha stretto un impegno di cooperazione «per la stesura del piano Mattei, che noi vogliamo presentare alla conferenza Italia-Africa» e che «scriveremo insieme all’Africa per capire le priorità e come portare avanti insieme la strategia».

Tutto rinviato dunque, e visita diplomatica già programmata in Repubblica del Congo e Mozambico ridotta ad un giorno solo, così da permettere a Meloni di rientrare a palazzo Chigi per seguire da vicino l’evoluzione della situazione in Israele.

Il piano Mattei

Al termine della visita lampo, dunque, Meloni ha incassato almeno la disponibilità del Mozambico a collaborare per la stesura, perchè il piano Mattei non venga abortito prima ancora di vedere la luce, superato dagli eventi e dalle contingenze geopolitiche di questa fase.

L’appuntamento di gennaio per la conferenza Italia-Africa sarà sostenuto anche dal fondo dell'Italia per il clima, ha aggiunto Meloni, dicendo che «il 70 per cento del nostro fondo per il clima sarà dedicato all'Africa», con circa 3 miliardi di euro di investimento.

Dall’Italia, però, le dichiarazioni di Meloni accendono l’irritazione delle opposizioni, che del piano Mattei continuano a non aver mai visto traccia e temono che diventi un alibi per investire in combustibili fossili il fondo per il clima. «Ad oggi, non è stato mai presentato pubblicamente, tanto meno in parlamento. Insieme a De Scalzi, sta lavorando per acquisire nuovi contratti di gas in Africa. Questo non ha nulla a che fare con la lotta ai cambiamenti climatici», ha dichiarato il deputato dei Verdi, Angelo Bonelli, anticipando che presenterà una interrogazione sull’utilizzo dei 3 miliardi annunciato da Meloni. Il sospetto, infatti, è che l’annuncio nasconda un tentativo del governo di impiegare i fondi per il clima per finanziare fonti fossili: «Se il governo intende utilizzare questi fondi per finanziare Paesi in cui abbiamo interessi petroliferi, ci rivolgeremo agli organismi competenti». Come denunciato dall’associazione ReCommon, infatti, Fratelli d’Italia ha nominato Marco Rosario Ferrante – da decenni collegato ad Eni e che oggi lavora in una joint venture di Eni e Bp in Angola per la ricerca di gas fossili – come responsabile e delegato del partito per Angola e Mozambico.

Critiche arrivano anche dal Movimento 5 Stelle in commissione Esteri, che ha interpretato le dichiarazioni della premier sul piano Mattei rinviato e da scrivere insieme all’Africa come una ammissione: «Avevamo ragione quando dicevamo che non esisteva nessun piano».

Decisamente più concreta, invece, è la questione dei rapporti energetici che legano l’Italia al Congo e al Mozambico e che sono stati il vero focus del dialogo diplomatico. Il piano Mattei – che prende il nome dal fondatore dell’Eni, Enrico – rischia infatti di essere, almeno in questa fase, un trampolino per la gestione degli interessi internazionali del maggior gruppo industriale italiano.

Gas e petrolio

Dopo il primo viaggio di aprile in Etiopia, infatti, nella delegazione che ha accompagnato Meloni in questo secondo viaggio diplomatico in Africa era presente anche l’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi.

L’ad è alle prese con un obiettivo tutt’altro che semplice per celebrare i settant’anni dalla fondazione del colosso a partecipazione pubblica: rendere l’Italia completamente indipendente dalle forniture di gas della Russia entro il prossimo inverno. Obiettivo raggiungibile solo diversificando l’approvvigionamento e quindi chiudendo nuovi accordi con partner internazionali.

In quest’ottica, dunque, acquistano centralità i paesi africani: in ordine di priorità al primo posto c’è l’Algeria, ma subito dopo ci sono appunto Mozambico e Congo. Entrambi, infatti, sono paesi in cui l’Eni già opera da anni sia nel settore petrolifero che in quello del gas.

Del resto, dalla prima repubblica in avanti il cane a sei zampe ha sempre giocato il ruolo di ministro degli Esteri ombra di qualsiasi governo e ancora oggi l’Italia può far valere buon rapporti nel cuore dell’Africa grazie alle sue imprese di cooperazione.

In Mozambico la guerra civile iniziata nel 1975 si concluse nel 1992 anche grazie alla mediazione del governo di Roma e della comunità di Sant’Egidio. In Congo invece Eni è presente sin dagli anni Sessanta e qui ha giocato un ruolo anche di sviluppo industriale del paese: nel 2022 la produzione offshore e onshore di Eni è stata di circa 80mila barili di petrolio. Non solo, l’azienda italiana ha approvato un investimento per un primo progetto per la liquefazione e l'export del gas dal Congo, che Eni commercializzerà al 100 per cento e che dovrebbe venire avviato entro la fine del 2023.

«L'Eni a Cabo Delgado sta realizzando il suo lavoro, con tanti progetti visibili, e la popolazione lo vede. È un'azienda all'avanguardia», ha detto il presidente Nyusi nelle dichiarazioni congiunte dopo l'incontro con Meloni. La premier ha aggiunto come «il fiore all'occhiello della nostra collaborazione» con il Mozambico «è il settore energetico soprattutto grazie alla presenza dell'Eni. Siamo d'accordo che i giacimenti di gas scoperti al largo delle coste settentrionali siano una enorme possibilità».

Al rientro dalla visita in centr’Africa, dunque, l’unica certezza è che la diplomazia internazionale targata Eni è andata avanti nella strada per la diversificazione delle fonti di approvvigionamento energetico. Il piano Mattei, invece, continua a rimanere poco più di una lettera di intenti.

 

© Riproduzione riservata