Aggiornamento: Il presidente iraniano Ebrahim Raisi è stato dichiarato morto dalle autorità iraniane in seguito all’incidente in elicottero avvenuto nel nord del paese. Oltre a lui è deceduto anche il ministro degli Esteri della Repubblica islamica e le altre persone che viaggiavano nel convoglio.


«Pregate per il Presidente!». Così esortano i media di stato iraniano, dopo la notizia che Ebrahim Raisi è disperso, insieme al ministro degli Esteri Hossein Amir Abdollahian, e a Malik Rahmati, governatore dell’Azerbaigian Orientale, regione nella quale si era recato dopo aver inaugurato nel vicino l’Azerbaigian una diga insieme al presidente azero Ilham Aliyev.

Le notizie sulla sorte di Raisi sono ancora incerte, anche se simili appelli fanno capire che la preoccupazione è grande a Teheran. Non solo tra gli iraniani che ancora confidano nella Repubblica Islamica, sempre meno dopo la pur acefala rivolta scoppiata con la morte di Masha Amini e la grande repressione che ne è seguita, ma, soprattutto, nei ranghi del “sistema”. Prima ancora per la carica che Raisi occupa, che avrebbe comunque un numero significativo di pretendenti graditi , per quella che , ancora, non occupa. Non è un mistero che Raisi sia/ fosse il candidato più accreditato a succedere alla Guida suprema Khamenei, quando verrà il momento.

Alle recenti elezioni per l’Assemblea degli Esperti, tenutesi insieme a quelle per il rinnovo del Majles, il parlamento, 1 marzo di quest’anno, Raisi si era candidato , anziché a Teheran, nella provincia del Sud Khorasan. In un’elezione che la Costituzione vuole a suffragio universale , il presidente poteva essere esposto nella capitale a un risultato non troppo lusinghiero dopo le forti contestazioni del potere seguite alla mobilitazione per “l’affare del velo” . Difficile, di fronte a un voto che avesse fatto emergere, magari attraverso l’astensionismo, un diffuso giudizio negativo, restare candidato di punta alla successione di Khamenei: la collocazione in un collegio sicuro, e senza rivali, ha evitato al regime qualsiasi imbarazzo.

La transizione

La possibile scomparsa di Raisi mette in discussione una transizione che si riteneva ormai garantita. Il presidente è membro dell’Associazione del clero combattente, esponente dell’ala più intransigente della fazione dei conservatori, ha legami “giusti” con i turbanti e le fondazioni religiose, autentico centro di potere in Iran, oltre che con la magistratura, braccio operativo del regime nel far rispettare dei canoni islamici e garantire la repressione penale dei “nemici della Rivoluzione”. Caratteristiche che ne facevano l’erede, se non designato formalmente, di fatto di Khamenei. Gli equilibri , del resto, gli erano favorevoli nell’Assemblea degli Esperti. La preventiva “pulizia” effettuata dal Consiglio dei Guardiani, che ha epurato, più che possibili candidati alternativi eventuali spine nel fianco, come l’ex-presidente Hassan Rouhani, che insieme a altri esperti di diverso orientamento avrebbe potuto mettere in discussione quella che si annunciava come una cronaca di una secessione annunciata, rendeva il cammino del tutto percorribile. Anche perché Raisi è ritenuto un leader non inviso ai Pasdaran, sempre più garanti della tenuta e del profilo ideologico del regime: sia per la storia della sua militanza sia perché non pare in grado di articolare forme di potere carismatico che gli consenta di porsi come effettivo leader del “sistema”.

Bisogna ricordare che tra i Pasdaran esiste una corrente favorevole, se le necessità lo richiedessero, a dare vita un “khomeinismo senza clero”, a un regime espressione diretta del potere militare. In tal caso un leader con un certo carisma sarebbe un ostacolo.

L’ultima vera Guida

Con Khamenei, in ogni caso, scomparirà l’ultima vera Guida del regime: dopo di lui il potere sarà, più di quanto lo sia oggi, cogestito dall’alleanza paritaria tra turbanti e elmetti, se non esercitato direttamente da quest’ultimi. Sviluppo inevitabile, nel momento in cui la politica estera e militare iraniana ha allargato lo spazio della geopolitica sciita e la sicurezza interna resta, in ultima istanza, affidata alle “canne del fucile”. Se sino all’avvento del nuovo secolo, la Repubblica Islamica è stata un’oligarchia di fazioni, nella quale la competizione tra questi veri e propri partiti alternativi era dura ma regolata, dopo i colpi di coda seguiti all’elezione di Ahmadinejad e al golpe nelle urne che lo ha riconfermato, la costituzione materiale del regime è mutata: nemmeno la debole presidenza Rouhani ha mutato questo dato di fatto.

In ogni caso, né la fazione dei conservatori, né i Guardiani della Rivoluzione costituiscono un blocco omogeneo: gli “elmetti” faranno certo sentire il loro peso al momento dell’uscita di scena di Khamenei, ultimo esponente di primo piano del gruppo khomeinista che ha fondato la Repubblica Islamica. I Pasdaran sono, appunto, i Guardiani della rivoluzione, di quella rivoluzione: la futura Guida non godrà più della rendita politica e dell’aura che viene dall’essere stato tra i primi compagni di Khomeini.

Se la scomparsa di Raisi riaprisse i giochi per quell’ambita posizione, che sovrasta sia il potere degli organi a legittimazione religiosa che quelli a legittimazione politica che costituiscono i pilastri della Repubblica islamica, i candidati papabili potrebbero essere Mohammad Ali Kermani, Ali Reza Arafi, Moshen Araki.

Il primo, che pure ha occupato la carica, importante, di guida della preghiera del venerdi a Teheran ed è stato segretario dell’Associazione del Clero combattente è, pero, molto anziano: 82 anni; il secondo, è membro del Consiglio dei Guardiani e più giovane, ha 68 anni; il terzo, originario della citta santa di Najaf, anch’egli 68 anni, è membro anche del Consiglio di discernimento, che ha il compito di dirimere i contrasti tra organi religiosi e organi politici, e ha buoni rapporti personali con Khamenei.

In ogni caso, se le pessimistiche previsioni venissero confermate, si dovrà prima procedere all’elezione di un nuovo presidente della Repubblica, entro cinquanta giorno. Nel frattempo il suo ruolo verrebbe ricoperto temporaneamente dal primo vicepresidente, Mohammad Mokhber, previo assenso del leader supremo Khamenei. Un passaggio che Khamenei avrebbe volentieri evitato in questi frangenti. Non solo perché obbligato a lasciare il via libera a un simulacro di campagna elettorale e a un candidato, almeno vagamente, di opposizione, ma perché uno scarso afflusso alle urne, renderebbe ulteriormente visibile lo scollamento tra il regime e il paese.

Il leader supremo iraniano pareva aver convocato un incontro d’emergenza con il Consiglio di sicurezza nazionale, destinato a fare il punto su quanto è accaduto ma anche sorvegliare che i meccanismi della transizione, politici e di sicurezza, fossero avviati senza troppe ripercussioni. Notizia poi smentita: le nebbie che hanno causato la caduta degli elicotteri nella foresta di Arasbaran, nella provincia dell’est Azerbaigian, devono per ora rimanere fitte almeno sul fronte interno, anche per occultare l’improvvisa fragilità del regime.

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