Il tentativo di colpo di stato in Brasile, con i sostenitori di Bolsonaro che hanno preso di mira gli edifici che rappresentano le massime istituzioni del paese, ha riportato tragicamente alla memoria le pagine più cupe della storia dell’America Latina: i decenni del Dopoguerra in cui paesi come il Brasile, il Cile e l’Argentina erano sottomessi a dittature.

L’obiettivo dei sostenitori di Bolsonaro era quello di far partire un colpo di stato grazie all’intervento dell’esercito. Del resto Bolsonaro, ex paracadutista, ha più volte espresso ammirazione per la dittatura militare brasiliana che fu abbattuta solo nel 1985 da grandi proteste popolari.

Si tratta di una ferita aperta data la vicinanza temporale, su cui figure di destra come l’ex presidente del Brasile non hanno avuto alcuna remora a buttare sale, come quando affermò che «l’errore della dittatura fu torturare invece di ammazzare».

Vitalità ritrovata

Tuttavia, l’America Latina si trova adesso in una fase molto diversa rispetto a quella delle dittature militari degli anni ’70 e ‘80. Si parla già di una nuova “ondata rosa” (dal colore predominante dei partiti politici) dopo quella vista a inizio del nuovo millennio con Lula, Chavez, Morales, Correa ecc.

Le vittorie di Andres Manuel Lopez Obrador in Messico nel 2019, di Luis Arce in Bolivia nel novembre 2020 dopo il colpo di stato dell’anno precedente, di Gabriel Boric in Cile nel dicembre 2021, di Gustavo Petro in Colombia nell’agosto 2022 e di Lula in Brasile nel 2022, hanno evidenziato la nuova vitalità della sinistra latinoamericana.

In questo momento dei 20 stati dell’America Latina, solo il Salvador, il Guatemala, l’Ecuador, l’Uruguay e il Paraguay non sono governati da formazioni di sinistra. Si tratta, di un ciclo che per diversi aspetti appare ancora più forte di quello di un decennio fa e che segnala come la destra latinoamericana, che ha tradizionalmente perseguito politiche neoliberali in economia e reazionarie sul fronte culturale e sociale si trovi in difficoltà.

Le ragioni che hanno portato l’elettorato a sostenere partiti socialisti, dopo un ritorno della destra al governo in molti paesi durante gli anni ’10 hanno a che fare con la situazione di pesante disuguaglianza sociale che continua a affliggere il continente.

L’America Latina ha uno dei più alti tassi di disuguaglianza (misurati in base all’indice di Gini) in tutto il mondo, una situazione che viene imputata da un lato al sottosviluppo che comporta la mancanza di impieghi di qualità e la presenza di una vasta economia formale, dall’altro alle condizioni precarie del sistema di tassazione nei paesi del continente: il peso fiscale in questi paesi è quasi la metà rispetto ai paesi dell’Ocse, il che significa che lo stato ha meno capacità redistributiva.

Questa situazione di miseria diffusa è stato il carburante che, prima e dopo la parentesi delle dittature militari del continente, ha portato al potere formazioni di fede socialista e populista progressista che proponevano di rispondere alle domande sociali della popolazione. I governi hanno cercato di rispondere attraverso trasferimenti e investimenti in educazione e sanità, spesso ottenendo risultati significativi nella lotta alla povertà. Ma il principale ostacolo per il benessere economico rimane la condizione di sottosviluppo economico e di dipendenza dal nord globale.

L’economia della dipendenza

L’America Latina e i Caraibi continuano a rappresentare appena il 5 per cento dell’economia Mondiale, pur coprendo l’8,5 perf cento della popolazione. Secondo i dati forniti a fine anno dal Fondo monetario internazionale il Brasile, che ha più di tre volte gli abitanti dell’Italia, ha un Prodotto interno lordo paragonabile a quello del nostro paese.

Questa situazione è l’eredità del periodo coloniale e dell’economia della dipendenza che ha trasformato i paesi dell’America Latina in fonte di materie prime per l’economia mondiale. Che si tratti della soia prodotta in Brasile o in Argentina, del litio della Bolivia, del rame cileno o del petrolio prodotto in tutto il continente, come ben raccontato in libri come Le vene aperte dell’America Latina di Eduardo Galeano, l’abbondanza di materie prime si è trasformata in una maledizione per questa regione, che soffre della cosiddetta “sindrome olandese”.

Specie in fasi di alta domanda di materie prime, come quella in cui sembra che stiamo di nuovo entrando, l’apprezzamento della valuta dovuta alla mole di materie prime esportate, rende poco competitiva la produzione industriale nazionale. Si esportano prodotti a basso valore aggiunto e importano beni a alto valore aggiunto condannando così questi paesi a rimanere in una condizione di subordinazione economica.

Un punto di svolta

Questa tendenza macroeconomica è stata la principale ragione del fallimento delle politiche sviluppiste messe in campo da paesi come il Brasile e l’Argentina, che però sono riuscite solo in parte a invertire questa tendenza. Tuttavia, adesso l’America Latina potrebbe finalmente trovarsi a un punto di svolta per rompere definitivamente lo schema dell’economia della dipendenza. Molti leader politici della nuova marea rosa sono intenzionati a procedere a passi spediti sul cammino della reindustrializzazione del continente. Inoltre, il continente potrebbe sfruttare a suo favore l’essere diventato un punto caldo nel conflitto geopolitico e economico tra Cina, Stati Uniti e Unione europea, giocando su diversi tavoli per ottenere investimenti e accesso a mercati.

Ma per rompere la logica della dipendenza sarà necessaria anche una cooperazione molto più forte tra i paesi del continente, a partire da un rilancio del mercato interno del Mercosur, oltre che un attacco deciso agli interessi che vivono proprio dell’economia della dipendenza: la cosiddetta “borghesia compradora”, che tradizionalmente sostiene la destra. Solo accompagnando le politiche distributive la capacità con la ricostruzione di una base industriale l’America Latina potrà liberarsi definitivamente del rischio di involuzioni autoritarie, come quelle che hanno rischiato di andare in scena a Brasilia, tendenze che sono tradizionalmente sostenute proprio dai settori sociali che sguazzano nel sottosviluppo.

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